L'informatica, specchio della scienza anarchica di Feyerabend e di Lakatos: prima parte
L'informatica essendo la scienza dell'informazione non si discosta molto dal ruolo degli scienziati classici, con la differenza che per l'informatico l'informazione è un elemento ontologico anziché empirico, cosa che lo porta a fare considerazioni più gestionali per quanto riguarda il discorso ontologico: tipi di dati, strutture di dati, architetture, programmazione ad oggetti, struttura dei database, etc. La scienza informatica è quella che permette pertanto di conferire a tutte le altre scienze una formalità rispetto all'informazione, ma che spesso viene tralasciata e data quasi ipso facto da altre discipline, magari più umanistiche, le quali talvolta vanno a generare vere e proprie speculazioni, date da finanziamenti, scoperte o come capiremo poi, da veri e propri culti, rendendo la scienza e pertanto anche l'informatica alla pari della religione. Il filosofo epistemologo austriaco Paul Feyerabend sostiene nei suoi testi, che la comunità scientifica è come una grande setta e che la qualità del sapere dipende dalla qualità dei sapienti, cosa che viene confermata dal degrado attuale che viene attualmente dibattuto tra fonti autorevoli (gatekeeper) e relativisti (controinformazione che produce solitamente fake news o notizie atte a favoreggiare la fazione contraria rispetto alle fonti autorevoli). In campo informatico le fonti talvolta autorevoli sono le big tech che vanno poi a detenere il monopolio della tecnologia, influenzando un determinato pensiero con metodologie e strumenti che danno per scontato determinate teorie che possono essere trattate per esempio diversamente in un campo disciplinare diverso da quello informatico. È un campo dove i finanziamenti sono molto più evidenti rispetto agli altri ambiti della scienza, in quanto lo strumento si pone come fulcro dell'applicazione teorica. In campo biologico, per esempio con i vaccini, questo è meno noto, più che altro perché si tratta di strumenti che difficilmente possono essere esplorati culturalmente se non per mezzo di articoli scientifici, solitamente pure proprietari e non peer review, cosa che rende l'informatica una scienza molto più evoluta epistemologicamente di scienze come la biologia, seppur l'informatica stessa abbia come limite la questione ultima della scienza: il problema dei finanziamenti rispetto ai ricercatori. In ambito informatico per sopperire a questa "crisi epistemologica" rasentata dai finanziatori, è sorta una posizione più decentralizzata, ovvero la community: dei gruppi di volontari che nutrendosi della ricompensa psicologica di essere accademicamente migliori di altri, hanno potuto sviluppare soluzioni strutturalmente anche migliori rispetto a molti software presenti sul mercato. Il tutto è stato considerato da molti un ambito relativo al project management, facendo passare per esempio dal classico metodo a cascata a strutture più adatte ad una community, come l'ormai famoso metodo AGILE. L'esempio più lampante di community è stato per esempio ciò che riguarda l'architettura di GNU/Linux (tralasciando la questione relativa a Minix). Il grosso pertanto è sempre derivato da un atto di volontà da parte di individui che ci si dedicano contribuendo poi a condividere il loro lavoro con altri, così che possa essere migliorato. Attacchi in tal senso, come quello della backdoor in XZ successo di recente, sono da considerare come necessari. Un lavoro delegato è sempre un lavoro che può essere infettato. Ed è per questo che una correlazione organizzata, fornita da strumenti come git in tal caso, permette di riscontrare tali problemi e di risolverli, cosa che magari usando altre soluzioni non è possibile fare. Esplicitare lo storico e renderlo disponibile a tutti così che un progetto possa essere integrato come fosse il proprio permette l'attuarsi di un lavoro distribuito, dove questo lavoro è un eterno conflitto tra problemi e soluzioni. Lo sviluppo in altre parole è una guerra eterna, rifacendoci ad Eraclito diremmo "Polémos è padre di tutte le cose e di tutte ne è il re". Più un progetto diventa complesso, più si frammenta in parti più piccole permettendone un maggiore controllo e più diventa fragile e difficilmente orchestrabile. È questo d'altronde il limite delle strutture progettuali centralizzate, ci sono altri modelli e sono stati affrontati riguardo le fasi storiche affrontate nella prima parte dell'articolo della logica ontologica. Tutto questo argomento sarà oggetto di future analisi rispetto alla questione economica degli scienziati e delle sue reali alternative per potere risolvere la questione del gatekeeping.
Nei suoi testi Feyerabend, rispetto alla scienza descrive come lo scienziato non sia lo studioso razionale che mette alla prova le teorie, ma che spesso e volentieri i gruppi di ricerca si formino intorno al culto della personalità del docente, dell'esperto o del guru di turno che viene venerato come un dio dai suoi sottoposti che sperano un giorno di poterlo spodestare, andandolo spesso a nominare come "genitore accademico" in un contesto universitario. Le università e le scuole ad oggi sfornano libri scarni di contenuti e annacquati di propaganda di regime (qui si intende "regime" per sistema filosofico che viene applicato ad una popolazione e che viene mantenuto in maniera inerziale), o economico, o ideologico, o religioso, o politico, poiché il sistema universitario deve preparare in 3-5 anni a rendere gli individui delle merci da proporre al mercato, così che possano alimentarlo con gli stessi elementi con cui sono stati plasmati. Gli individui vengono pertanto messi in un'ottica di essere in funzione della produzione di contenuti che permettano di potere portare a casa uno stipendio, nonché di fare incassare all'azienda delle risorse che possano permettere una posizione di influenza all'interno del mercato stesso. Da parte dello studente non è possibile imparare in così poco tempo imparare tutti quei testi a memoria, i percorsi universitari, soprattutto se di materie storiche o umanistiche, sono contaminati spesso tra l'altro da nozioni superflue e poco utili come molti contenuti di pedagogia e contenuti voluti solo allo scopo di fare avere crediti per potere insegnare; fare più esami per avere crediti per insegnare, andando a fare il lavoro di quelli che dovrebbero insegnare la disciplina principale. Pedagogia in particolar modo la mettono ovunque insieme a sociologia e antropologia, dato che chi fa materie umanistiche deve avere crediti in queste materie per insegnare. I percorsi universitari, soprattutto quelli umanistici, sono contaminati da esigenze politiche. Ovviamente specifico che questa roba serve a chi vuole insegnare a scuola, non per le università. Quindi hanno sottomesso le università alle scuole. La laurea in filosofia è sempre attaccata a un'altra disciplina e quasi mai è indipendente, per mettere esami superflui per insegnare a scuola quelli escono che non hanno fatto nemmeno metà storia della filosofia. Il che è grave, dato che ciò porta in parte ad una settorializzazione anacronistica, dall'altra ad una relativizzazione del pensiero occidentale, il quale va a vendere l'insieme di teorie proposte sottoforma di ideologia, che poi viene implementata successivamente in una qualche tecnologia. La triennale dovrebbe fare studiare tutta la filosofia e la magistrale specializzare, ma la magistrale in filosofia è oggigiorno una appendice della triennale visto che si fa poca letteratura critica. E questo è assurdo, perché alla magistrale si dovrebbe far solo quella, e lasciare classici e manuali alla triennale, cosa che invece non accade, facendo ritrovare gente che alla magistrale sta ancora studiando Aristotele perché non lo ha fatto nella triennale. Come tesi a sostegno di ciò vorrei proporre questo frammento tratto da "il medico nell'età della tecnica", di Karl Jaspers, frammento che espone come le condizioni universitarie delle facoltà scientifiche sono esattamente come indicato sopra o qui di seguito: lo studente è così pressato dalle lezioni che concepisce il frequentare le lezioni in modo analogo all'andare a lavorare in fabbrica. Il frammento è ciò che segue: "Alla specializzazione scientifica corrisponde il modificarsi dell'insegnamento. Al posto di una formazione nell'ambito del pensiero biologico in generale, subentra un aggregato di materie specialistiche. Il tempo dello studente è talmente occupato dagli orari di lezione che una riflessione più approfondita risulta impedita dalla dispersione nell'infinità degli argomenti da studiare. Gli impulsi spirituali della gioventù, che hanno bisogno di libertà, vengono fiaccati da una frequenza universitaria rigidamente vincolata ai piani di studio e da un'enorme sollecitazione della memoria. Gli esami mettono sempre meno alla prova la capacità di giudizio, che già a lezione viene esercitata in modo per nulla conforme alla massa delle conoscenze. Oggi vi sono modi di concepire la biologia veramente grandiosi. La tendenza generale sembra però andare in senso contrario. In tutto il mondo vengono educate persone che sanno moltissimo, che hanno acquisito particolare destrezza, ma la cui autonomia di giudizio, la cui capacità di indagare e di sondare i propri malati è minima. Queste tendenze verso la specializzazione e la scolasticizzazione sono le tendenze generali dell'epoca.". E aggiungo io, non solo i medici si riducono così a tecnici, ma anche molti informatici, trovando di fatto collocazioni di nicchia dove potere campare al fine di non garantire alcun progresso nella disciplina poiché manca di autonomia, riservando al massimo il progresso solamente o ad una copia di tecnologie già esistenti o al massimo alla produzione di un'infrastruttura complessa su teorie già diffuse, vincolando l'informatico pertanto al suo prodotto, senza che possa spaziare nella vera e propria teoria dell'informazione che fa sfondo all'informatica. Che il mercato sia la condanna della cultura? O che la condanna sia solo in coloro che affrontano con un approccio tecnocratico la scienza? Lascio questa risposta a voi lettori. Come può uno scienziato integrare uno sviluppo culturale consistente se manco un filosofo riesce a farlo? La cultura occidentale è ormai frammentata e veramente in pochi riescono a riunire i tasselli, andando tuttavia o a settorializzarsi per non fare la figura degli ignoranti, portando perciò ad altrettanta ignoranza, oppure ad applicare teorie sbagliate o deprecate, a tecnologie sbagliate o deprecate, portando a veri e propri revival, perché non vi è luogo per poterne discutere o semplicemente perché piace quella determinata teoria, lasciando che sia gente che non se ne intende di nulla a potere decretare la necessità dello sviluppo della cultura. Lo scienziato arriva alla verità attualmente solo per mezzo dell'applicazione di un metodo, come se esso vi fosse a priori, non lasciando scampo all'errore che viene considerato come un fattore da censurare. In informatica questo avviene ma in maniera molto più blanda, poiché l'errore viene tracciato e viene utilizzato per fare in modo che tale errore non avvenga più, individuandone la causa e cercando di capire che solitamente riguarda quasi sempre o un errore psicologico-cognitivo o un errore di matrice logica o ontologica.
Talvolta accade poi che lo scienziato, sia esso un informatico o altro, va a credere nella scienza o nei contenuti proposti ufficialmente da coloro che si pongono come gatekeeper, va a credere in metodi che attua sul proprio metodo di indagine e di sviluppo, perché considera come l'autorità collettiva di una comunità valuti attentamente i dati, le prove. Per questo è noto come al fine di ricostruire l'informazione egli prenda come scorciatoia la richiesta altrui, metodo che porta ad una tecnicità degna di un informatico stereotipato: se funziona meglio non toccarlo. Una scienza del genere non è qualitativamente differente dalla religione in quanto si fonda sul dogma del funzionamento che accade e che non può essere analizzato. I calcolatori non sono delle scatole di Schrödinger, possono essere studiati ma talvolta mancano o di strumenti analitici, o di nozioni di base per comprendere come funziona una funzionalità fin nei suoi piccoli dettagli. In pochi si sono dedicati a questo ambito e in pochi perdono il loro tempo per spaziare al di là del proprio prodotto includendo nozioni che spaziano al di là della tecnologia proposta, se non sottoforma di strano e bizzarro contenuto esotico o stravagante che dà al prodotto qualche caratteristica più "divertente". Un riconoscimento in particolare lo devo fare alla documentazione dei progetti relativi a BSD, essendo strutturati a dovere e in maniera molto consistente e che permettono di spaziare anche al di là dell'informatica. Della scienza come ambito di indagine tipico dello scienziato col camice posso sostenere che fonda le proprie conoscenze in un sistema di credenze date da una comunità, come già detto, il che rende la scienza, come sostenuto da Feyerabend, non troppo differente da una qualsiasi religione, essendo la scienza riconosciuta in modo dogmatico, essendo il dogma l'atto conoscitivo e decisionale della comunità sui contenuti. Una qualsiasi posizione dogmatica si dice fondazionalista. I dogmi sono credenze che non richiedono giustificazione, ed essi giustificano le altre credenze. Il fondazionalismo è fallace per varie ragioni, ma la più importante è che quando si individua un dogma su cui fondare questa credenza, non è il dogma in sé a giustificare le proprie credenze, ma il fatto che ci si aspetti che il dogma abbia qualche proprietà che lo renda vero. Ed è questa proprietà e non il dogma a giustificare le credenze. È la ragione che rende il dogma vero in virtù dell'avere la proprietà P che giustifica le nostre credenze. Quindi i dogmi semplicemente non esistono perché sono autocontraddittori, cosa che ha portato la scienza e di conseguenza anche l'informatica, ad una sorta di relativismo che come abbiamo già affrontato negli articoli precedenti, è stata trasformata in un'egemonia tecnica. I tecnocrati finanziano, i tecnocrati decidono e questa tecnocrazia prende il nome di stato, essendo esso l'organo decisionale per eccellenza che punta a monopolizzare i dispositivi di potere per mezzo della legge (in riferimento alle tesi di Foucault). Le aziende possono assumere come modello lo stato e possono agire come tale andando a culminare verso l'acquisizione di potere rispetto al mercato, così che lo scopo non sia tanto proporre contenuti di qualità migliorando le vite individuali ma quello di proporre prodotti atti a potere vendere di più e a potere controllare meglio, ottenendo di conseguenza una situazione di monopolio.
La proposta di Feyerabend e di Lakatos è quella di liberare la scienza dai gatekeeper lasciando che le tesi, sia false che vere, siano impiegate liberamente per uno sviluppo distribuito della cultura. Per questo, in particolar modo Feyerabend, arriva a concepire una nuova concezione della scienza, definendola anarchica. Il limite di questa filosofia, illustrata nei loro testi, è che mancando di una teoria dei miti (vedi Jung e Frazier), non sono stati capaci di distinguere le teorie che sono veramente prodotto dell'ingegno da quelle che sono solo proiezioni della psiche (del sé direbbe Jung). Di questa tesi rimando al libro "le origini del pensiero scientifico", di Santillana. L'accettazione acritica di qualsiasi farfuglio elevato a teoria dovrebbe rendere una persona seria e pertanto anche uno stregone pagano eclettico, cosa che già avviene tra l'altro in eventi ufficiali che propongono una posizione scientista o tecnocratica (vedi alcuni episodi accaduti in alcune conferenze del World Economic Forum).
In particolar modo nel sistema proposto persistono due contraddizioni: pur dicendo che non bisognerebbe mai sottomettersi a standard, di fatto Feyerabend si sottomette allo standard della pace sociale e dell'umanitarismo, e ciò fa perdere molto valore alla sua proposta che è invece molto buona, asserendo pertanto che l'umanità sia tutta razionale e che sia esente da miti. Per questa caratteristica Popper è superiore, seppur alcune cose vadano riviste. Per esempio Feyerabend fa ben vedere che non sempre possiamo valutare il contenuto empirico delle teorie, per cui si potrebbe sostituire il criterio del contenuto empirico con quello dell'impegno ontologico: una teoria scientifica sarà tanto più valida quanto la sua ontologia non ammetta determinati contraddittori. Scienze come la fisica moderna sono sfuggite parecchio all'ambito della proiettività rispetto ad altre scienze e ciò che lo ha permesso è stata una condizione intrinseca alla necessità di Galileo, perché egli costruì una nuova teoria dell'esperienza che ha bloccato le teorie proiettive. Quindi bisognerebbe andare alla ricerca di questi sviluppi nella fisica anziché nella matematica che di fatto non espone nulla in tal senso essendo uno strumento di discriminazione di dati che possono essere usati proprio per esporre tesi false.
Vorrei soffermarmi a fornire questo piccolo glossario prima di proseguire con il discorso, onde evitare incomprensioni date da terminologie ambigue o intese in altro modo:
- Linguaggio d'osservazione: linguaggio IN CUI vengono espresse LE DESCRIZIONI di ciò che si vede.
- Fatto empirico: qualcosa che viene dato a prescindere dalle teorie e che permette di decidere delle teorie stesse
- Teoria: sistema di proposizioni che stabiliscono ciò che reale vietando determinati eventi e ammettendone altre.
Gli empiristi scientifici generalmente sostengono che il metodo scientifico dipenda dall'osservazione e che l'attività scientifica consista nel verificare delle proposizioni o delle teorie. Costoro sostengono quindi che possiamo accedere ai "fatti" come se questi fossero privi di teorie, e che quindi quando descriviamo i fatti, cioè quando facciamo uso del linguaggio d'osservazione, noi possiamo parlare in modo neutro e tranquillo di ciò che accade nella realtà senza appellarci a nessuna teoria. Ma questo non è possibile, perché qualsiasi teoria è dotata anche di un'ontologia, e quindi ciò che si ammette come fatto dipende da quali entità ammette la teoria. Esempio: per gli aristotelici qualsiasi cosa viene ridotta ad una sostanza alla quale viene alterata la sua materia e attraverso questa alterazione si può congiungere a una forma, può incrementare di volume, può subire alterazioni etc., ma ogni moto viene sempre concepito come il moto di una cosa. Per un aristotelico semplicemente un campo elettrico così come il concepire lo spaziotempo come un campo che si deforma sono cose puramente impossibili, perché non sono ammesse nell'ontologia aristotelica, visto che per Aristotele esistono solo enti e accidenti. Per questo qualsiasi cosa che noi possiamo chiamare come "fatto" è in realtà puramente inclusa all'interno di una teoria, e il "fatto" emerge come incontro tra un senso biologico e il mondo, o uno strumento di osservazione: un fatto è la traiettoria di un elettrone in una camera a nebbia, un mitocondrio osservato al microscopio etc. Quando si utilizzano strumenti di osservazione si dice che una scienza si avvale anche di scienze ausiliarie senza le quali non potrebbe esistere: la biologia non esiste senza una teoria dei microscopi, la fisica non esiste senza l'ottica e oggigiorno nessuna scienza può esistere senza la psicologia, domani diremo le neuroscienze. L'informatica non può esistere senza l'elettronica e l'elettrotecnica, quindi senza la fisica e l'ingegneria. Per questo il fatto empirico semplicemente non esiste, visto che quello che si chiama fatto è un prodotto della teoria. Ogni teoria ha i suoi fatti concepibili, le possibili violazioni etc. Un altro esempio potrebbe essere questo: in psicanalisi freudiana un determinato evento viene spiegato attraverso il soddisfacimento differito di una pulsione. Per esempio: una tizia compra un regalo al padre, e il freudiano direbbe che l'ha fatto per soddisfare una pulsione e il desiderio di avere un figlio con lui, così che il regalo è solo un modo per differire questa pulsione. Uno junghiano direbbe che la figlia compra il regalo perché è posseduta da qualche complesso affettivo che la spinge ad agire così. Per il freudiano è reale la pulsione, e quindi le pulsioni sono fatti, mentre per lo junghiano è un fatto il complesso. Noi invece diremo che il regalo è stato comprato perché la tizia è immersa in un determinato rito comportamentale, e che nella sua cultura l'espressione di un mito avviene attraverso quella componente comportamentale. Jung descrive le cose in modo troppo statico, mentre come esposto dalle neuroscienze no, alla base della vita psichica inconscia non c'è l'immagine, ma l'azione. Addirittura la vita psichica la si potrebbe chiamare vita motoria inconscia: le proposizioni sono le frasi. Il simbolo consiste nel codice proposizionale del rito, poiché il rito attinge da esso per estrarne il pattern comportamentale. Se il simbolo fosse la compressione del rito, questo significherebbe che il simbolo deriva dal rito, quando è il contrario. L'analisi rende possibile la riducibilità del rito al simbolo, ovvero intendo dire che dal rito si può risalire al simbolo, poiché quest'ultimo precede il rito e ne è la descrizione. Quindi il rito è il pattern comportamentale, sì, ma questo perché per costituirsi esso estrae dal simbolo il pattern e lo "converte" nella parte comportamentale. La proiezione del sé parte comunque dalla struttura ben definita concernente la psiche, il cui linguaggio archetipico corrisponde al linguaggio dell'essere espresso mediante i simboli: il simbolo è dunque il linguaggio che adotta la psiche per esprimere l'essere. Infatti il rito ha meno impegno energetico per un motivo, ed è relativo all'ambiguità intrinseca del simbolo stesso: esso è come se fosse criptato e per decifrarlo fosse necessaria una chiave di lettura, ma la polisemia del simbolo causa inavvertitamente la sua interpretazione (dovuta ad esempio al suo contesto storico) in particolare si va ad interpretare il significato del simbolo per estrapolarne un significante che va a costituire una funzione, ovvero il rito. Infatti la proiezione che attua il sé nel mondo riguarda la necessità di conferire al simbolo una interpretazione che si basa su un modello comportamentale, come se si mirasse alla sua celebrazione: poiché il simbolo non è analizzato e conosciuto, il rito è come se lo "mettesse in atto". Per quanto riguarda i circuiti motori, a livello neurologico, le aree deputate al linguaggio, s'interessano anche del sistema motorio. Il rito esiste anche perché l'uomo non ha conoscenza del significato del simbolo, ma giunge ad esso solo per scinderlo nel significante e far di quest'ultimo il suo strumento. Al contrario, l'analisi che permette di conoscere il simbolo è quella della coscienza, e ciò comporta anche lo svincolo del simbolo dalla sua polisemia poiché la descrizione permetterà la relazione tra più simboli, nonché porterà alla conoscenza del rito che al posto di essere reiterato, potrà essere poi superato. Se fosse che i simboli esprimessero solo energia psichica, l'uomo non si potrebbe mai liberare dai miti, ma questi sarebbero reiterati all'infinito. Non a caso in questa epoca l'uomo cammina nel labirinto (dei miti) percorrendo sempre lo stesso cerchio, in un susseguirsi di miti che vengono reiterati di continuo. E questo può essere benissimo inteso come il relativismo ontologico espresso precedentemente, una sorta di carnevale dove ognuno ha il suo ambito di indagine, il suo turno e dove il conflitto "territoriale" delle fazioni giunge ad unioni o a scontri in maniera asincrona, andando a costituire di fatto una sorta di pseudo-anarchia mal funzionante poiché manca di individualità, essendo che non viene fornita una visione ontologica globale. La coscienza è un reiterazione dei simboli che hanno perso la rete induttiva per passare a quella deduttiva, ossia, a livello di reti neurali avviene una regolazione per cui mettendo alla prova il simbolo per mezzo del rito ci si accorge che esso non funziona, passando dal mito per arrivare alla realtà nuda e cruda. Il rito è sempre il rito di qualcosa, non ci possono essere riti a caso che si propagano senza motivo. Il rito viene rinforzato e mantenuto perché provoca piacere, ma non lo provoca a caso, perché molto spesso le azioni compiute nei riti sono azioni normalissime, che non coinvolgono zone erogene o altro. Questo rinforzo può avvenire perché esiste già prima del rito il simbolo, che esprime in codice proposizionale delle descrizioni e delle immagini che hanno la funzione di motivare l'individuo. Una volta che si è costituito il simbolo è possibile poi anche l'attivazione del rito, che consegue dal simbolo perché un rito altro non è che un prototipo d'attivazione basato su circuiti motori. La rete dei simboli è anche essa subsimbolica, ed è una rete più estesa della rete dei riti che è motoria, e comprende delle aree prefrontali per la ricorsività. Senza ricorsività non sarebbero possibili altri simboli. Ma comunque il discorso è questo: noi abbiamo i simboli definiti da una cultura. Questi simboli a loro volta corrispondono a riti, perché sono anteriori ad essi, a volte può succedere però che vengono prodotti nuovi riti basandosi sui riti vecchi e che di questi riti non vi sia una corrispondente parte simbolica, perciò il rito viene alienato e si tenta una analisi del simbolo che non viene condotta in termini psicologici, ma assumendo il significato come reale. Simbolo e rito interagiscono in modo dinamico, ma a livello strutturale il simbolo è anteriore, si tratta di un modo di organizzare le attitudini dell'individuo che predispone ai riti. Senza i simboli non ci sarebbe motivo di rinforzare e conservare determinati tipi di azione. Anche coloro che dispongono di una vita fondata sulla dissoluzione della coscienza e che pertanto puntano ad una regressione psichica analizzano i riti, solo che loro li descrivono in modo da ottenere una analisi di tipo realista, perché considerano i simboli reali. Noi qui invece li analizziamo per dissolverli nel linguaggio simbolico. I simboli sono più che altro teorie sulla realtà, teorie del mondo, direbbe Heidegger. Per esistere si appoggiano sulla rete neurale del linguaggio, che è una rete neurale molto strana: pur essendo essa stessa non proposizionale provoca un codice proposizionale. L'analisi del rito che farebbe un individuo che non dispone di una solida ontologica ne scoprirebbe il lato simbolico per poter giustificare in senso realista il mito che sta attuando. Invece la nostra analisi del rito è un'analisi che dissolve il rito nel linguaggio, e permette di comprenderne le caratteristiche simboliche. Però come già detto, il rito deriva dal simbolo in due modi: o in modo diretto, o in modo indiretto. In modo diretto significa che dato un simbolo se ne costruisce il rito, in modo indiretto significa che dato un rito che a sua volta è dato da un simbolo si costruisce un rito che momentaneamente rimane senza simbolo e che quindi resta escluso dal linguaggio. Dopodiché questo rito viene ricondotto a uno dei simboli perché anche coloro che non dispongono di una solida ontologia analizzano i riti, solo che lo fanno in modo sbagliato, credendo che i simboli descrivano entità reali. Simboli e riti si sviluppano in modo parallelo e poi vengono intrecciati grazie all'attenzione che colui che non dispone di una solida ontologia mostra per la sua psiche. La coscienza poiché non ha comprensione dei simboli della psiche reitera ciclicamente i riti, non i simboli. Il simbolo è vincolato alla sfera psichica nonché a quella onirica, artistica e in generale espressiva inconscia, poiché in tal caso si tratta dello stadio di irrifflessività della psiche: quest'ultima non conosce il simbolo, e dunque non consente lo schiudersi del linguaggio dell'essere ma al contrario lo vincola alla psiche. È per questo che la psiche necessita di proiettare nel mondo la sfera archetipica, è un tentativo erroneo di svincolo del simbolo, ma ne viene colto solo il significante che consiste nel rito. Infatti il simbolo viene conservato presso gli individui con un'ontologia debole solo attraverso i riti: sono essi la principale fonte di conservazione del simbolo. Però è possibile incontrare i simboli nelle opere letterarie, filosofiche e scientifiche, questo perché tali opere fungono da analisi. È ovvio che all'uomo comune, al popolo, non appartiene altro che il rito e l'unica forma simbolica con la quale può venire a contatto riguarda unicamente la pubblicità, la religione e la cronaca, dove tuttavia il simbolo rimane comunque vincolato al discorso del rito. Dovete immaginare i riti come dei virus immaginari che si tramandano di generazione in generazione e che una volta infettato l'ospite lo fanno muovere come vogliono. I corpi sono marionette, e i riti i fili. I greci al tempo di Omero già erano giunti a capire una cosa del genere, come dice Feyerabend. Lui in particolare sostiene che il mondo greco arcaico, prima dei presocratici, non conosca né l'io, né la sostanza, né la matematica.
Nella seconda parte andremo ad indagare il fondamento del rito e della rivoluzione attuata da Feyerabend nei confronti della sapienza.