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La logica ontologica: prima parte

Siamo finalmente giunti a porre delle basi solide, ontologiche e scientifiche alla logica. Partiamo definendo come la logica non sia un prodotto umano ma di come essa permei la realtà e di come qualunque interazione si fondi su un prodotto logico, composto elementarmente (come ci ricorda Aristotele) da AND (e), OR (o) e NOT (non, negazione). Alla base della stessa informatica viene utilizzata questa formalizzazione della logica, così che, in termini più strettamente logico-matematici (da George Boole in poi, 1800 circa) si siano potuti strutturare i primi linguaggi di programmazione (va ricordato il linguaggio assembly dell'IBM 701. Ada Lovelace teorizzò unicamente un algoritmo che non fece mai eseguire su alcuna macchina. Andrebbe altrimenti ricordato anche Blaise Pascal ed il suo computer non elettronico, oppure anche Alan Turing, o anche solo il linguaggio usato dall'ENIAC). In ambito fisico, chimico, meccanico, biologico, elettronico, informatico e così via dicendo, le operazioni logiche rimangono sempre onnipresenti, così come soprattutto nell'ambito linguistico, psicologico e pertanto anche onirico. La realtà è pervasa da logica, ogni interazione è logica e purtroppo o per fortuna, non è possibile evadere da essa. Un fisico direbbe che ciò che governa la logica è la termodinamica, essendo praticamente i fotoni il fondamento sia dello spazio che del tempo (non è provata alcuna esistenza dei gravitoni e la fluttuazione quantistica relazionata ai fotoni è molto più coerente rispetto alla teoria delle stringhe, che seppur allettante per i fan della fantascienza, è stata smentita moltissime volte); tuttavia tutte le leggi, anche quelle termodinamiche che descrivono come un corpo freddo non possa conferire calore ad un corpo caldo, l'entropia e tutto ciò che riguarda l'organizzazione delle quantità delle esistenze, ricade sempre in un unico fattore comune: ogni esistenza è in una costante relazione logica e non può essere totalmente isolata. La prova? Qualsiasi esistenza è dotata di almeno una proprietà e questa è quanto basta per potere mettere in una relazione logica un'esistenza con un'altra. Se poniamo nel vuoto un corpo, quel vuoto non sarà mai esattamente vuoto, poiché lo spaziotempo è e lo è di fatto anche il vuoto stesso se si rimuovesse per assurdo lo spaziotempo. Pertanto rimuovere l'interazione delle esistenze significa rimuovere la dialettica, significa per assurdo costruire un ente, che come vedremo, altro non è che un prodotto logico.

Tutte le esistenze sono dotate di proprietà e per secoli, se non millenni, in filosofia, a partire dai presocratici, a causa della formulazione del concetto di ente, sono stati fatti discorsi e dispute che contendevano l'universale vs il particolare. Tutto ciò che riguarda la gestione di tali esistenze riguarda innanzitutto pertanto il riconoscimento dei dettagli, di queste caratteristiche che non chiamiamo proprietà e che vanno a descrivere l'esistenza in questione per mezzo di una teoria. Qualsiasi enunciato può essere di per sé una teoria che descrive l'esistenza. Nello specifico un'esistenza altro non è che una porzione di essere con proprietà che possono riguardare lo spazio, il tempo, il colore, l'odore e così via. Non tutte le esistenze hanno alcune delle proprietà che invece ne hanno altre, per esempio il numero 2 è privo di temporalità, mentre la nonna Pina ha una temporalità ed è contrassegnata dal suo esserci termodinamicamente nello spaziotempo, oltre che dalla vecchiaia espressa dal suo aspetto fisico, questione argomentabile da una teoria della pelle in relazione al tempo passato dalla nascita. Tutto è una teoria e le esistenze stesse sono in realtà proprietà, o meglio aggregati di proprietà, essendo le proprietà dei concetti universali che possiamo trovare in più esistenze. Nella formalizzazione del linguaggio della logica predicativa, sono stati introdotti (grazie soprattutto a Peano) i quantificatori (esistenziale e universale) e gli individui, che altro non sono che esistenze generiche cui possono essere attribuite delle proprietà. Tutto ciò che esiste può essere messo in una relazione logica perché esiste: il principio di Eraclito asserisce infatti che tutto è in dialettica e che (ricorrendo a Parmenide), tutto è uno e da uno è tutto, nel senso che l'esistenza è la proprietà fondamentale di qualsiasi proprietà, dove per assurdo la proprietà minima potrebbe essere espressa come assenza di proprietà, cosa che porterebbe tra l'altro ad una contraddizione logica poiché contraddirrebbe il principio di identità e del terzo escluso, che comunque fanno capo al principio di non contraddizione.

- IL FENOMENO -

Asserito che tutto sia in dialettica con tutto, possiamo stabilire dei "paletti" che non portino a definire l'essere come un insieme di enti che con una certa teoria ontologica vadano a formare a volte l'uno e a volte i molti. Innanzitutto portiamo all'evidenza di come l'essere non sia un fenomeno, ma di come il fenomeno sia non essere. Il fenomeno è ciò che è evidente. Come evidenza risalta sull'essere e lo va a coprire nascondendo tutto dietro di sé. Non si può avere la visione di due fenomeni diversi nello stesso momento, perciò esso necessariamente fraziona la conoscenza. Dunque per cogliere un fenomeno si deve "mettere in pausa" la realtà e tale procedura equivale ad un'astrazione. Perciò il fenomeno è statico ed è l'incontro tra sensi e nientificazione. L'astrazione non collega il fenomeno ad avvenimenti precedenti o a delle riflessioni, in quanto è ciò che permette di concepire il fenomeno come percetto in sé. Esso è un atto di violenza dell'io, cioè del piacere, che si comporta come una negazione, sulla realtà. Se non ci fosse io non ci sarebbe alcun fenomeno, perché questo è il risultato della scomposizione in enti. Infatti nella filosofia greca tutto ciò che ha a che fare coi fenomeni è una forma di rivelazione e non di logos, di essere. L'errore di Parmenide infatti è stato proprio quello di pretendere che l'essere fosse un fenomeno, e il termine ente è proprio l'essere fenomeno. Per Parmenide dunque il fenomeno è un ente e può esistere l'ente senza fenomeno. Aristotele lo dice chiaramente, così non fa altro che entrare nell'aporia del Parmenide di Platone: lui dice che dire l'uomo è un ente e dire l'uomo è uno, sono la stessa cosa. Quindi essere e ente sono intercambiabili. L'errore è dunque quello di trattare l'essere come uno spazio geometrico. Viene confusa la proprietà (spazialità, anche se poi andremo a definire il corretto significato del termine usato dall'ontologia proposta) con il proprietario, ossia l'essere. Heidegger invece fa l'altro tipo di errore, confondendo la proprietà (temporalità) con l'essere. Nella gerarchia di errori categorici abbiamo:

  1. Ontificazione dell'essere.
  2. Scambio tra proprietà e proprietario.
  3. Quantificazione XOR temporalizzazione dell'essere.
  4. Coscienzalizzazione dell'essere.

Aristotele riesce ad avere tuttavia la nozione di dialettica ontologica; infatti dice che l'essenza di una cosa è il logos sulla sostanza. Tuttavia ciò che in un certo modo lo porta a perdersi è il suo aver spazializzato l'essere. Infatti dice sempre che l'ente si dice in molti modi, e che praticamente esiste una definizione di essere per ogni determinato. Ma per lui la vera definizione è la forma, perciò esiste definizione solo delle specie ultime di un genere. La definizione delle specie più anteriori è sempre più difficile, mentre addirittura lui ritiene impossibile definire gli individui perché non hanno una forma generale. Dice che è possibile definire Socrate come uomo, ma non come individuo. Da ciò possiamo dedurre due cose: la prima è che l'aristotelismo, che è alla base dell'io moderno, preclude già in maniera epistemologica l'esistenza degli individui e li priva di importanza. La seconda cosa è che egli concepisce l'essere solo come linguaggio parlato, cosa che porta inevitabilmente al nichilismo. La teoria dei codex, che non sono altro che le relazioni fondamentali a livello dialettico che consentono al cervello di elaborare l'essere permettendogli di autocomprendersi, permette di superare questa aporia: noi possiamo definire la nuvola in generale, ma non possiamo definire proprio la nuvola che è davanti a noi. Quindi gli individui sono materia, e per Aristotele la materia è non essere. Si tratta del più astratto dei concetti nella sua filosofia, un materialismo molto più assodato dei comuni materialisti! Ovviamente ciò implica anche il superamento del concetto di materia, che è necessario abbandonare. Ma cosa differenzia ciò che vediamo in quel momento come la nuvola enunciata da un individuo, rispetto ad una nuvola presa in generale? Si dice "una" nuvola, ed in quanto una è una di tante concettualmente uguali, si differenziano solo per la forma, proprio come disse Aristotele, cosa che di fatto fanno già anche molti algoritmi di object recognition nel campo dell'intelligenza artificiale. Aristotele dice il contrario: dice che la forma è ciò che rende uguali, e che la materia è ciò che rende diversi. Ma la materia è inconoscibile, quindi non esiste discorso degli individui. Ed è inconoscibile perché si può conoscere solo la specie e questa è composta da genere e differenza specifica. Siccome la materia è già genere, non esiste una differenza specifica della materia prima. Per Aristotele dunque gli individui rimangono un'aporia. Inoltre le forme individuali sono inconoscibili così come la materia, perché non si può conoscere la differenza specifica di Socrate. Per lui esistono altresì realtà senza materia, tuttavia non sono tali non perché siano non materia, ma perché o sono puro atto o materia locale. Asserendo che la materia è non essere, implica pertanto che si passi dal non essere all'essere perché la materia in sé è informe. Secondo la sua teoria l'individualità non è conoscibile nell'attenzione verso il singolo generalizzato dall'articolo indeterminativo "un". Dal momento che lo si analizzerebbe nello specifico si dovrebbero evidenziare i caratteri di unicità, implicando l'utilizzo di "il", poiché unica è la materia anche nella sua differenziazione, cosa che appunto non approva poiché essa non è. Per lui è impossibile perché non ci sono specie individuali. Non ci sono specie individuali perché esistono termini che si predicano solo di un individuo. Per esempio, Socrate definisce l'uomo come un animale bipede, Socrate è già uomo. Per definire Socrate si dovrebbe necessariamente definire come uomo più un termine che vale solo per lui. E questo termine può essere solo Socrate. Ma dire che Socrate è uomo Socrate è una tautologia. Il massimo che si può definire sono le specie umane come homo abilis, homo sapiens, etc., ma non si può andare oltre. Per questo la sua filosofia presenta un'aporia, risolvibile con la teoria dei codex.

- CODEX -

Per superare questa aporia bisognerebbe dire innanzitutto che ogni discorso è un discorso che si fa in un mondo (e questo Aristotele lo dimentica). Dopodiché bisogna dire che essendo il tutto il logos, l'essere, tutto ciò che porta alla parola è anch'esso linguaggio. Perciò i sensi che permettono poi di dire "questa è una nuvola" contengono implicitamente un discorso informativo, che poi attraverso il linguaggio formano una unità concettuale. Infatti la condizione necessaria per passare dal senso al concetto linguistico è che il senso codifichi una unità dialettica di informazioni. Tuttavia il senso non sa quando tale unità si forma, ed è per questo che non può modificare il discorso. È solo il linguaggio che accogliendo il dirsi della realtà può dire che quel determinato è una nuvola e lo fa solo per caratteristiche qualitative. Se il senso fosse consapevole, allora ci si troverebbe in un'altra aporia: ci sarebbero nuvole più grandi e più piccole che comunque sono nuvole. Il senso tuttavia non sa nemmeno distinguere una quantità e una qualità, quindi mettere tutto insieme e se avesse voce in capitolo potrebbe benissimo dare un altro nome a ciò che in realtà è un'altra nuvola. Perciò non esiste la materia, esiste solo il determinato che si determina dialetticamente. Il senso è in grado di riconoscere solo la dialettica, poiché la realtà è già organizzata in unità informative. Se non fosse così ci sarebbe solo indistinzione, e dunque materia, ma non è così. La distinzione non viene creata dal nulla dal linguaggio, il linguaggio la esprime solo. Nemmeno lo spazio è indistinto, ma è distinto in quanto spazio. L'unico indistinto è il non essere, ma il non essere non si può conoscere e dunque non è. Il linguaggio è il superamento della percezione individuale, ma nell'atto stesso del dire conserva in sé il processo che ha portato al dire stesso, così che anche se noi diciamo "ecco la nuvola" ci riferiamo alla nuvola che il nostro linguaggio voleva dire. La differenza tra informazione e concetto è che la prima è inconscia, la seconda no. Dire che al linguaggio appartiene solo il generale è assurdo, perché il linguaggio segue la temporalità storica dell'essere. Infatti se tutto ciò lo stessi dicendo oralmente, lo si potrebbe solo ricordare. Ma dal momento che sono messaggi scritti, non si ha il bisogno di ricordare e si può già passare alla critica. Perciò la scrittura è una fase più in alto del linguaggio che dice l'eternità dell'essere in quanto tale. Nel linguaggio parlato l'eternità resta implicita. Con ciò non voglio sostenere affatto che si dovrebbe smettere di parlare, ovvero di usare il linguaggio orale, esso deve essere mantenuto, altrimenti non si può passare dal senso allo scritto. Esistono anche forme di linguaggio sotto il senso e se si eliminasse il senso non si passerebbe da ciò al linguaggio. Il resto, ciò che aiuta e permette una comprensione più vasta, o meglio più di "basso livello" rispetto ai concetti, è l'arte, che comprende ovviamente anche la musica e tutte quelle espressioni che non hanno una verabalizzazione, ma che possono essere verbalizzate per mezzo di un'analisi psicologica rispetto all'opera. Ci sarebbe poi da parlare anche delle opere artistiche che andrebbero poi a portare ad un'esclusione del sé e dunque verso un contesto ontologico, ma esulerebbe dagli scopi di questi articoli. Sotto il senso c'è la costituzione molecolare, una molecola si definisce per particolari proprietà ontologiche, e sotto di ciò il linguaggio atomico, poi sempre più giù fino a finire al porsi ontologico in quanto tale. La comprensione non diventa più vasta, poiché alla fine non si dice nulla di più di una configurazione di atomi, diventa matematica. L'arte è in senso poietico volontario; fino al linguaggio tutto è poietico, ma involontario. Il linguaggio è poietico e volontario, così come la scrittura. Poietico non nel senso che crea attività dello spirito, ma nel senso che si dà nell'essere in modo indifferenziato con una certa gerarchia descrittiva stabilità dalla storicità dell'essere. Se la volontà può fare arte è perché ciò c'è già implicitamente nel reale. Per questo l'arte è espressione dell'essere, della sua storicità nella sua autocomprensione.

- IO-GODO E L'ENTE -

L'io è stato definitivo in modo differente da molti autori, per Freud e per Platone era un mediatore tra desideri (onore, fama e gloria) e appetiti (mangiare, bere, uccidere, etc.). Invece per altri autori coincide semplicemente con l'autocoscienza (Agostino, Socrate, Cartesio). La posizione più interessante è quella di Kant che concepisce l'io come una struttura cognitiva che fa da base a tutte le attività dell'intelletto consentendo al soggetto di sentirsi unificato. Jung adotterà un concetto simile per il sé. In ogni caso, ogni autore attribuisce all'io una funzione particolare. Jung per esempio lo concepisce come un complesso cosciente che ha il compito di definire la continuità psicologica dell'individuo. In questa ontologia invece all'io non si attribuisce nessun ruolo, così che ci si liberi dal finalismo di tale posizione. La causa di un qualcosa non può essere la funzione di quel qualcosa, perché in questo modo si rovescerebbe la direzione del nesso causale: qualcosa che è nel futuro causa un mutamento nel passato. L'io secondo questa ontologia è un prodotto collaterale della selezione naturale, un errore che si è sviluppato a caus delle peculiari circostanze in cui si è trovata a sviluppare la vita, soprattutto nei mammiferi, con la necessità di dover accudire la prole. L'io dunque coincide con quelle strutture del cervello responsabili dell'esperienza edonica (di piacere), e con il loro ricordo, e ha come scopo quello di porre l'animale nella condizione di dover ripetere quelle esperienze. L'io è stato in grado di preservare la vita perché ha sfruttato la relativa somiglianza dei cervelli attraverso le specie, e così ha offerto una sorta di valuta di scambio per le attività. Nel regno animale per esempio il branco è visto come una estensione di sé. Allo stesso modo i cuccioli. Questo perché l'animale usa il branco per soddisfare i suoi bisogni affettivi che sono creati dalla sottomissione stessa del branco. Tutte le specie evolute hanno modi per comunicare con i conspecifici. E quando si instaurano delle relazioni tra animali di specie diverse, se l'animale viene considerato come parte stessa della specie, vengono applicati su di esso gli stessi schemi comportamentali e comunicativi per i conspecifici. Ad esempio, i gatti trattano i propri padroni come se fossero gatti, lo stesso fanno i cani e via discorrendo. Un branco non lavora mai per includere e non lavora per amore, non collabora ma qualsiasi aggregato sociale opera solo per costituire una gerarchia per mezzo dei conflitti di interesse. Dunque la storia è solo il risultato di questo scontro, di questa guerra, che Eraclito denominò dialettica. Un leone o un lupo quando diventa alfa uccide i cuccioli degli altri membri del branco per imporre la sua fitness riproduttiva. Non opera alcun atto di inclusività o di amore nel senso benefico del termine, ma opera anzi l'amore del branco e ostracizzazione della sua figura per garantire il raggiungimento del potere del proprio io per mezzo della negazione degli altri io. E su questo si fonda la cura, l'io, il piacere o come lo si voglia chiamare, seppur abbia una valenza ancora più profonda e ontologica, ma questo lo analizzeremo in seguito. Il branco è fortemente gerarchizzato, l'alfa tiene sottomessi tutti gli altri e solo la sua femmina si riproduce. Se un'altra femmina resta incinta o abbandona il branco, i suoi cuccioli vengono eliminati. Molti lupi sono i cosiddetti esemplari vaganti, ovvero maschi che escono dal branco, o che spesso ne vengono cacciati, e una volta trovata un'altra femmina creano il loro proprio branco. Parlare di simbiosi cercando di paragonarla all'amore è roba da supportatori di quella favola che è il socialismo, la simbiosi è solo un rapporto di reciproco vantaggio e questa si fonda sul furto con ottenimento di ricompensa. Il comportamento descritto sopra dei lupi lo si può estendere bene o male a tutti i predatori. Persino le pecore non allevano gli agnelli di altre pecore. La natura è fondamentalmente esclusiva, perché questo è quello che spinge a migliorare l'individuo, è ciò che fa andare avanti. Con una natura inclusiva, gentile e tutte le altre caratteristiche tipiche di un socialismo, l'uomo sarebbe rimasto una forma di vita unicellulare aggregata per vivere in un'unica colonia, perché lo stimolo che spinge a migliorarci e a progredire è proprio quello dell'ostilità della natura. Vivere sull'armonia e sulla collaborazione senza scontro è un aspetto infantile e che deve essere superato, poiché non solo non è possibile che tutti siano d'accordo su qualcosa, ma è necessario anche che vi sia un vincitore e un perdente rispetto ad una teoria, cosa che conclama una prima valenza dimostrativa dei valori di verità e dell'operato della logica. Il sistema criminalizza l'odio, ed ha coniato il termine hate speech, andando a censurare tutti i discorsi che non piacciono chiamandoli hate speech, perché il condizionamento pavloviano impartito fin dalla nascita è che amore è buono e odio è cattivo. Non si è mai visto il sistema censurare per love speech. D'altrocanto chi obbedisce ciecamente è chi permette di realizzare tutto da parte di chi è al potere, che comunque non è ontologicamente legittimato, se non per una temporanea potenza maggiore rispetto ad altri. Le funzioni cognitive, o i neuroni stessi per mezzo delle leggi di Hebb, fondando il loro funzionamento su questo scontro dialettico di supremazia, che ovviamente non è mai consolidata, ma sussiste in un circolo dinamico. L'odio e l'amore sono astrazioni, in natura esiste la sopravvivenza e basta. Non c'è nessuna visione a tunnel o simile, c'è solo una continua ridondanza di propaganda socialista poiché permette sempre di inculcare meglio i dispositivi del potere affinché l'individuo sia vincolato da esso ad agire in determinati modi. E questo è il fondamento della censura e la cultura ne risente parecchio fino a che l'individuo in questione non si rende cosciente rispetto alle proprie catene, che di fatto non esistono nemmeno, poiché uno è libero sempre dal momento che esiste e non può non esistere. Separare gli usi leciti da quelli illeciti di un concetto in base a un principio morale, cioè derivato dall'io, è esattamente quello che fa la società: ognuno si può inventare la propria neolingua e dire che amore sia questo o quello e imporre questo al prossimo. Quello che bisogna fare per comprendere l'essere è rinunciare a partecipare alle dinamiche alienanti del mainstream che predicano il servizio, il sacrificio, etc. per l'altro, rinunciare a tutta la retorica eteronomica dietro l'amore e riuscire ad uscire da quel teatro inscenato da coloro che predicano il mito della socialità, che altro non è che un grande copione che viene ripetuto più e più volte. Inutile è fare revisionismo concettuale: se una mela è marcia è marcia e non la si può mangiare. Ricapitolando:

  1. L'io è una particolare struttura del cervello.
  2. L'io ha come conseguenza una costruzione di desideri comuni che si possono soddisfare solo usando gli altri.
  3. Questo ha come conseguenza l'estensione del proprio sé nella società o nel branco.

Questa estensione di sé, della propria brama di piacere sul mondo si chiama perversione. Quel che succede è che la realtà viene annichilita per lasciare spazio alle proiezioni psicologiche del soggetto, e così impedendo una conoscenza vera del mondo, non solo nei suoi aspetti scientifici, ma anche ontologici. Hume stesso nega l'io, ma in maniera differente da quella qui proposta. Poiché l'io si autoimpone come unicità, come qualcosa di autodeterminato nella sua inseità, non ha alcuna valenza ontologica. Hume invece si concentra sul lato epistemologico negando che l'io abbia una valenza epistemologica, poiché dice che in quanto non è possibile separare l'io dalle sue percezioni, allora l'io non può essere una sostanza separata da esse. Poiché secondo Hume qualcosa ha un significato solo se la puoi esperire (anticipa di molto la filosofia del '900, cosa che rende di fatto Hume un genio) e non puoi esperire l'io, esso è un semplice fascio di percezioni che non ha alcuna valenza epistemologica. Kant insisterà proprio su questo punto per dire che poiché è un fascio di percezioni, l'io le unifica in una struttura coerente e razionale. E proprio perché l'obiezione di Kant è epistemologicamente legittima che non basta la negazione epistemologica fatta da Hume per quanto sia valida. Infatti essa dovrebbe essere dedotta da quella ontologica. Poiché l'io non ha validità ontologica, l'abbinare un io alla percezione è un processo che porta ad un circolo vizioso, perché si può percepire un fenomeno proprio perché si postula a priori un io che adialetticamente separa dalla realtà delle porzioni in modo arbitrario che chiama fenomeno. Quindi non esiste il fenomeno perché non può esistere l'io. La dimensione dell'apparire non c'è, è semplicemente un errore dettato dalla persuasione nichilista che l'io possa estrarre dei contenuti ontici falsamente definiti nella loro inseità sulla base della negazione della dialettica. Kant sostiene che l'"io penso accompagna tutte le mie rappresentazioni" e come dice Maurizio Ferraris e come abbiamo già analizzato, la filosofia di Kant è un socialismo cammuffato. L'ente è dunque il prodotto dell'io rispetto all'essere, così che il fenomeno renda l'essere un essere adialettico, fermandolo nella sua inseità, come se fosse un'istanza isolata presso cui tutto può accadere e tutto può rimanere. L'io è un prodotto pertanto psicologico ma è il risultato della dissoluzione dell'essere nell'essere. A livello psicologico si pone tra coscienza ed inconscio personale, andando poi ad intaccare tutti i livelli del sé, mentre a livello neurologico si pone presso la porzione ventrale del cingolo anteriore. Quando qui sopra e nei precedenti articoli si è proposta la formalizzazione logica del rapporto tra essere, ente e non essere, si è esposta "implicitamente" la teoria dell'oggetto di Meinong. Però ovviamente la dimensione ontologica è l'essere che precede l'ente. La dimensione logica infatti dimostra che l'ente è più generale dell'essere, e questo contraddice quanto fin'ora esposto, ed anzi ne è una naturale conseguenza. Il non essere è indeterminato, perché non si può determinare, mentre l'ente si può determinare, tuttavia di fatto contraddicendo il fatto che sia adialettico, autocontraddicendosi, poiché per parlare di quell'ente si ricorre alla dialettica e dunque alle altre conoscenze che utilizzano concetti che magari non sono nemmeno riferiti ad un determinato ambito della conoscenza, così che si metta in evidenza per esempio che la specie non è vincolata in sé stessa, così come qualsiasi concetto come la filosofia, la matematica, l'informatica, l'elettronica e così via; sono tutti ambiti di discorso, ma non hanno confini poiché la cultura è multidisciplinare e riguarda tutte le differenziazioni dell'essere. Per questo l'ontologia si pone a priori rispetto a qualsiasi campo d'indagine. Da qui si ottengono questi elementi:

  • Ente = + concetto, - relazione
  • Essere = + concetto, + relazione
  • Non essere = - concetto, - relazione

E come ultima istanza abbiamo:

  • Essere generale = - concetto, + relazione

Seppur secondo la filosofia si possa meglio definire come essere senza quiddità, cioè un essere senza un riferimento specifico a qualcosa (l'essere proposto da questa ontologia è quello dell'essere dialettico per i principi descritti nei precedenti articoli). Lo spirito, secondo la filosofia, derivata da influenze religiose, è proprio quell'essere generale più l'ethos, che altro non è che comportamento. La storicità dell'io si presenta pertanto come storia dell'alienazione dell'essere, nonché come storia dell'ignoranza rispetto all'essere. In concomitanza con gli studi di Piaget, di Frazier, di Jung e delle neuroscienze, riporto soltanto qui la lista delle varie alienazioni nel corso della storia, le quali dovrebbero essere abbastanza descrittive rispetto alla storia dell'essere:

  • Essere generale:
    • Alienazione sé-natura:
      • Empirismo:
        • Naturalismo/finalismo.
        • Magia.
        • Artificialismo e animismo.
        • Totemismo.
  • Ente:
    • Alienazione sé-io:
      • Metafisica:
        • Monarchia sacrificale.
        • Politeismo.
        • Monoteismo.
  • Non essere:
    • Alienazione sé-alterità:
      • Scienza:
        • Statalismo.
      • Morale umanistica.
      • Vacuità.
    • Alienazione sé-leib:
      • Stato:
        • Statalismo tecnico.
      • Nichilismo:
        • Biopotere.
        • Vita tribale tecnica.
  • Essere:
    • Ricongiunzione ontologica:
      • Vita eraclitea.
      • Dialettica degli opposti.
      • Ontologia.

Come potete notare è una mappatura molto più completa delle fasi storiche della comprensione dell'essere rispetto a quanto avevo esposto nell'articolo de "i problemi della metafisica". Imponendosi come negazione rispetto alla realtà, essendo il cervello l'elaboratore delle teorie, va a fornire una descrizione irreale di ciò che è l'essere e pertanto va a fornire una narrazione ontologica fondata sulla negazione. Pertanto dire "io" e dire "non"/"negazione", significa asserire un'istanza che si pone come soggetto rispetto alla realtà e che tramite il fenomeno va progressivamente a ni-entificare, ovvero a togliere la dialettica e a produrre enti fenomenici, cui può essere addirittura tolto il fenomeno ottenendo di conseguenza il non essere. Costruiamo pertanto qui le nozioni elementari che stanno alla base della negazione e dei successivi concetti rispetto a ciò che andrà a costituire la logica ontologica, argomento che troveremo in maniera più esplicita nella seconda parte dell'articolo.

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