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Le origini del sistema centralizzato nella storia

Possiamo ricondurre il tutto a due tipologie di origine: una informale, corrispondente alla questione psicologica insita nell’architettura della psicologia umana, una formale, corrispondente alla questione filosofica, costruita a partire da Aristotele.

Ragione storica: l’uomo dispone di un inconscio e di una coscienza, pertanto di contenuti che sono più importanti di altri, nonché di elaborazioni più mature e di altre che sono invece più immature. Jung scoprì ed elaborò una teoria basata su funzioni cognitive che permisero di comprendere, anche per mezzo di analisi di simboli e di miti storici che si ripetevano bene o male in tutte le culture, come la cognizione umana si sviluppasse in maniere coincise e prevedibili. E non parliamo qui del comportamentismo Skinneriano o Pavloviano, ma piuttosto di come le strutture sociali e di conseguenza anche le filosofie seguano ciò che definiva Piaget come l’evoluzione cognitiva dei fanciulli. Nel suo libro “la rappresentazione del mondo nel fanciullo” riuscì infatti a constatare come, sia per il bambino che per l’uomo nella storia, si passi da una forma spirituale ad una vera e propria metafisica, che culmina in alienazioni sempre più profonde che concludono tutte nell’ontologia.

Ragione filosofica: la filosofia nacque nell’antica Grecia con Eraclito e Talete, i quali riflettendo sulla mitologia e concependo la natura come il luogo della cognizione della divina verità, riuscirono a slegarsi da essa per utilizzare i miti come strumenti per elaborare una serie di teorie universali che potessero dare senso all’esistenza. Perciò se con Eraclito abbiamo tutta l’esistenza, che in informatica potremmo intendere come l’insieme di tutte le informazioni possibili ed impossibili, sottoforma di unica caratteristica realmente possibile, allora con Parmenide (ed in particolare con i suoi seguaci, il culmine lo si ha con Aristotele) ciò comincia a scemare e ad involvere verso metafore che diedero spazio all’immaginazione per oggetti e al pensiero che portò alla formazione della metafisica. L’esempio a cui mi riferisco nello specifico è l’oggettificazione dell’essere parmenideo sottoforma di sfera, la quale espressa simbolicamente, presso i suoi seguaci si tramutò in domande come: se l’essere è una sfera, allora cosa è tutto ciò che non è una sfera? Mettendo in dubbio la validità del principio di non contraddizione da Parmenide formulato: L’essere è e non può non essere, il non essere non è e non può essere.

Tale principio è una legge che descrive come qualcosa non può esistere e non esistere allo stesso tempo e nemmeno tramutare nella sua contraddizione, poiché altrimenti la sua trasformazione necessiterebbe di uno stato intermedio che è inammissibile. Da Parmenide in poi si ebbe dunque un declino della filosofia ed una progressiva decadenza verso filosofie sempre più rifacenti ai vecchi metodi usati nelle mitologie ma formalizzati entro sistemi privi di personaggi (o quasi, col cristianesimo si reinserì la figura di dio nel sistema filosofico). Tale sistema, sorto e formalizzato in realtà con Aristotele, venne chiamato metafisica, ossia una disciplina che doveva argomentare come tutto ciò che esiste esiste con una forma ed un’essenza. Ancora oggi nel nostro linguaggio disponiamo di tali concezioni, le quali possono trarre in inganno e ci possono portare a formulare un pensiero metafisico. Al fine rendere più comprensibile il discorso, nella metafisica classica, si discusse in particolar modo dell’universalità e della singolarità delle esistenze. Ad esempio, cosa rendeva unico un cane? La sua individualità? Le sue caratteristiche? Eppure era un cane, ossia riconoscibile come tale e quindi accomunabile ad altri cani. Per questo sorse il concetto di categoria e di classi. Le stesse categorie che oggi troviamo sottoforma di tag o cartelle nei nostri filesystem è dovuto infatti al pensiero formalizzato della filosofia aristotelica, per assurdo, senza Aristotele probabilmente oggi non avremmo l’alberatura delle directory! In programmazione siamo abituati (più per chi è del settore) a riconoscere tali “suddivisioni” come una sorta di contenitori da riempire con dati prestabiliti, così che tali dati vengano resi dinamici e gestibili senza dovere riscrivere ogni volta metodi e funzioni varie. È una grande innovazione rispetto alla programmazione sequenziale, poiché consente una flessibilità maggiore ed una maggiore dinamicità, che oltretutto è presente anche nel nostro linguaggio per mezzo dell’uso della nostra memoria; senza di essa non potremmo riprendere i discorsi in un secondo momento, giusto per fare un esempio, oppure non potremmo nemmeno discutere di questioni più complesse della quotidianità, poiché ogni volta dovremmo ripetere il tutto. Le categorie o classi, permeano perciò la vita quotidiana, così come lo fa la metafisica, perché tale sistema consente di sviluppare una gerarchia delle informazioni e quindi di trascendere le essenze per arrivare a quella che le comprende tutte. C’è chi definisce questo processo inutile e dedicato unicamente agli “addetti ai lavori”, ma di per sé è ciò che accomuna tutte le discipline, consentendo di comprendere magari anche nella disciplina in esame stessa alcune problematiche anche logiche, oltre che ontologiche.

Ponendo un caso informatico più tangibile, mettiamo di dovere produrre una piattaforma dove si andrà a costituire un database. Ad oggi vi sono diverse soluzioni, c’è chi usa delle API REST, API GraphQL, database relazionali, database non relazionali, file json, yaml e chi più ne ha più ne metta. Tutte queste soluzioni ritorneranno sempre una tassonomia che partirà dal nodo padre, quello più generale, per poi finire verso i nodi figli, ossia quelli più specifici. Nell’esempio del cane di prima avremo una struttura che partirà dal dominio degli eucarioti, dove saranno inclusi tutti i sottorami, fino ad arrivare alla sottospecie del nostro esemplare, in questo caso al canis lupus familiaris. La biologia usa questo sistema ad albero principalmente per accomunare le caratteristiche espresse geneticamente da ciascun esemplare al fine di ricostruire una mappa che permetta di comprendere quali esemplari possano essere più accomunati ad altri. È un discorso nel quale si va ad escludere il tempo e dunque la storia, poiché essa è ciò che si vuole ricostruire a posteriori. Pertanto utilizzando il sistema ad alberatura ci si potrebbe già accorgere di come la storicità dell’essere viene ridotta esclusivamente alla questione particolare, mentre quella universale rimane eterna. Ed è proprio così che Aristotele e coloro che vennero dopo di lui concepirono come ciò che era fisico, ciò che era forma doveva essere temporaneo, dotato di tempo e come ciò che caratterizzava le forme, doveva essere qualcosa di eterno; l’essenza in metafisica è ciò che dota la forma di senso e pertanto di universalità. La forma è un concetto che venne riformalizzato e sottoscritto come ente, ossia come essere inteso nella forma di participio passato, ridotta nella forma contratta per evitare conflitti concettuali con l’altro termine, essenza, che venne rinominato come spirito. Da qui abbiamo pertanto gli spiriti (le essenze) e gli enti (le forme). Filosofi e scienziati conclusero che gli enti dovevano essere fatti di particelle (vedi da Leucippo in poi) e pertanto formularono il cosiddetto atomismo e dunque il concetto di atomo, che in origine doveva essere quella particella fondamentale indivisibile (smentita poi con gli studi di fisici come Einstein). E che queste particelle altro non erano che i “mattoni fondamentali” che in qualche modo potevano assumere forma diversa a seconda dello spirito ricevuto. Kant asserì nel suo idealismo infatti che è lo spirito che costituisce la forma e che vi dovesse essere uno spirito più spirito degli altri, ossia uno spirito più universale di tutti gli altri. Egli lo definì, sulle elaborazioni di Cartesio (cogito ergo sum, ossia l’essere creato dal pensiero) come il sistema di sensi creati a partire dal pensiero, ossia da questa istanza (in informatica lo definiremmo macroprocesso), che va ad elaborare tutti i pensieri che poi formano la realtà sensibile, ossia quella che possiamo percepire o concepire: il noumeno. Con i filosofi cristiani come Sant’Agostino venne poi reso questo noumeno un supernoumeno, poiché si accorse che l’universalità dell’uomo stava nelle considerazioni universali, mentre quelle particolari dovevano essere spiriti legati agli enti che in questo caso erano i corpi. È da lui che si riprese infatti il concetto di anima, che magari in altre culture era inteso semplicemente come respiro (nella religione cristiana ortodossa vi sono riti dove i patriarchi soffiano sui bambini nel momento del battesimo per potere ricevere lo spirito santo, oppure nelle culture orientali come quella buddhista o indiana il respiro, detto prana, è considerato la fonte della vita, nonché il principio primo di ogni evento). La comunanza di tutte le anime doveva avere perciò una caratteristica ancora più universale, così che a ritroso si formulò uno spirito che dovesse avere in sé tutte le potenze possibili ed impossibili, il quale venne nominato come dio. Nella forma politica e religiosa ciò avvenne storicamente col passaggio dal politeismo al monoteismo. Primo fra tutti, nella cultura antica precristiana, fu Zoroastro (più comune col termine di Zarathustra) che col suo zoroastrismo tentò di fare lo stesso, tentando di conciliare gli allora culti verso i numerosi déi, prevalentemente di matrice indo-iranica, in un unica forma divina che racchiudesse perciò universalmente tutte le potenze.

La filosofia perciò altro non è che un ripetersi di eventi nella storia, dove ai più che non conoscono questi aspetti, risulteranno argomenti molto distanti e disaccomunati tra di loro. Ma tutto ha un filo logico ed il pensiero umano elabora con la stessa architettura, così come un computer può riscontrare i medesimi errori utilizzando uno stesso software. Altri esempi di storia ripetuta la troviamo nel culto di Mitra, oppure col passaggio dal culto greco-pagano utilizzato dai romani al culto di Cristo, stessa cosa che avvenne nei paesi islamici con l’avvento di Muhammad. L’ebraismo non ha mai avuto una situazione molto ben definita sugli déi, ma una cosa è certa, esso è sicuramente stato connotato da un politeismo forte, tanto che si rese necessario un comandamento apposito (il primo dei dieci) che dovesse correggere quel fraintendimento avuto con la dicitura Elohim presente nella Torah, nel testo sacro ebraico; Elohim è il plurale di El, che è il nome di dio, oltre al più noto Yaweh, usato poi dal culto dei testimoni di Geova per indicare Geova stesso. Piccola curiosità: nelle lingue antiche prevalgono soprattutto le consonanti, pertanto JWH è sia JaWeH che JeWaH, divenuto poi Geova. Tutto è il frutto di cambiamenti drastici, quasi drammatici della storia delle informazioni, cosa che ha portato gli stessi uomini a cambiare atteggiamento, spersonalizzando la propria individualità proprio per diventare universali, per diventare dei profeti. Ad oggi gli informatici non si degnano più di osare a stilare nuove teorie dell’organizzazione dell’informazione, ciò spetta ad alcuni filosofi dicono, ad alcuni specialisti dell’informazione che si occupino anzi dello studio dell’epistemologia (nel migliore dei casi), ossia della filosofia della scienza. L’informatica al giorno d’oggi è vista difatti come una forma ingegneristica del trattamento dell’informazione, tanto che al massimo vengono prodotti software che possono essere più funzionali di altri, così che fruttino più denaro. Non vi è più discussione sulla struttura dei dati se non in qualche piccolo corso specialistico relativo ai database o più precisamente alla programmazione. Ed è qui che culmina il discorso sulla metafisica, con l’emersione del problema della tecnica esposto da Martin Heidegger il secolo scorso, esposto soprattutto nel suo libro “Essere e tempo”.

Nel prossimo articolo andremo ad indagare rispetto ai problemi della metafisica ed analizzeremo in maniera più schematica le macrofasi che contraddistinguono le strutture dell’informazione nella storia.

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