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L'etica, questo fantasma...

In questo articolo si tenterà di porre un'analisi oggettiva dell'etica, questo velato concetto che ad oggi si include in argomenti tipici dell'informatica, nei contesti aziendali, nella vita di tutti i giorni e soprattutto dagli anni '70, anche nel campo dell'intelligenza artificiale. È un campo di indagine metascientifico, pertanto riguarda in particolare la teoria della scienza, nonché ciò che permette la formulazione delle teorie scientifiche che poi si adattano nel contesto tecnologico. Argomenteremo nel seguito della narrazione perché ancora oggi viene usata e perché dal secondo dopoguerra si è avuto un peggioramento della qualità culturale, tanto da porre oggi l'uomo alla stregua di qualsiasi altro animale selvatico.

Come primo errore, si considera l'etica una questione derivata dalla natura. Questo viene chiamato fallacia naturalistica, ed è un errore di ragionamento che consiste proprio nel derivare una regola, una legge, un obbligo morale, dalla natura. Nonostante ci si possa sforzare, ed in tal caso sarebbe proprio una forzatura, non c'è nessun presupposto logico per introdurre un obbligo morale. Questo perché sono infiniti i modi per passare dall'essere al dover essere. E questi modi sono infiniti perché il piano del dover essere è il piano del possibile, ed è quindi più ampio dell'attuale. Questo lo dice la logica: c'è sempre più di un modo per fare una cosa. Ed è per questo che l'obbligo morale è derivato sempre dall'ideologia e mai da un'elaborazione logica.

Il secondo errore è il problema dell'universalizzazione. Tutti pretendono che ognuno faccia la stessa cosa, seppur la ricchezza dell'agire umano gli consenta di esplorare ogni possibilità. Per questo, discipline come la scienza, o ambienti creati ad hoc per sorvegliare e punire al fine di ottenere un qualsiasi risultato, sia esso lavorativo o non, diventa un modo per imporre un unico "modo di essere", una sorta di "taglia unica" che deve andare bene a tutti, uniformando sotto un'unica bandiera, anche se qualcuno può essere benissimo in disaccordo. In tal modo viene ridotta la complessità dell'agire umano e si riduce tutto ad una morale subdola, che si pone, come sempre, come strumento di controllo sociale, caratteristica oltretutto tipica di ogni morale deontologica (post kantiana). All'imperativo "che cosa devo fare per gli altri, per la comunità" dobbiamo imparare a dire "che cosa è meglio per me?", in base al contesto, così che si realizzi che non c'è nulla di così universale rispetto all'individualità, se non le possibilità messe a disposizione dalla realtà stessa. Una contraddizione di tale aspetto incanalerebbe l'individuo in una dimensione asettica e ideologica, formata da discriminazione per il pensiero diverso, convogliando verso un'ideologia che porta il nome di "pensiero unico".

Il terzo errore è considerare a priori l'uomo come un essere intelligente. Da un lato abbiamo visto che non è possibile fondare una morale sulla natura a causa della fallacia naturalistica, dall'altro lato abbiamo visto che un'etica del dovere è essa stessa immorale, perché nega l'individualità. Per cui oggi essere morali vuol dire semplicemente "partecipare alle idee della maggioranza". La morale si è fatta una condizione estetica, ed i meccanismi più primitivi di psicologia sociale, si sono sostituiti all'etica. La diagnosi dell'uomo contemporaneo non è del tecnico senza scrupoli, del lavoratore accanito che sacrifica sé stesso in veste di eroe per il contributo al progresso tecnologico, o altro, ma è dell'uomo primitivo che si fonde indistintivamente col suo gruppo sociale. La civiltà viene persa dal momento che l'individuo si dissolve nel gruppo sociale, che di per sé nemmeno esiste, dato che non esiste mai alcuna unità in sé stessa; è tutto sempre un aggregato (mereologico) delle singole parti.

Andiamo ora a comprendere perché la società non esiste e non può esistere realmente. La società ha lo stesso statuto ontologico di un quadrato rotondo, è catalogato negli oggetti impossibili perché è contraddittorio. Infatti, secondo l'ontologia, un sortale è così composto: a. A è composto da parti. b. Le parti di x hanno proprietà in comune. c. Queste proprietà hanno delle relazioni. Ciò significa che A innanzitutto deve essere un aggregato mereologico, cioè ontologicamente coerente. Le parti che compongono questo aggregato mereologico, una volta sottoposte ad analisi devono avere proprietà in comune. Non basta che abbiano solo delle proprietà, ma devono essere in comune, altrimenti se ogni parte avesse proprietà diverse, abbiamo solo un aggregato, non un sortale. Le proprietà in comune devono avere delle relazioni. Le relazioni sono proprietà a due posti. Se la proprietà è P(x), una relazione è P(x,y). Nel nostro caso abbiamo R(P,Q), dove P e Q sono proprietà. In questo modo abbiamo una proprietà strutturale, cioè una proprietà che delinea un certo ordine in cui disporre P e Q. Delinea una struttura ordinata di proprietà che sono possedute da parti. La società viola questa descrizione perché innanzitutto le proprietà in comune non hanno tutte le relazioni. Le proprietà della singola individualità che ha in comune con le altre, non hanno alcuna relazione diretta con quelle di un individuo che può vivere dall'altra parte del mondo, o anche vicino alla propria casa. Allo stesso modo, può essere che almeno un individuo nella società non ha proprietà in comune con gli altri. Inoltre la società basa la sua esistenza sulla negazione delle sue parti, quindi è contraddittoria. Di per sé una società potrebbe esistere solo perché chi sta al potere decide che esiste, eliminando tutti. È chiaro che si tratta unicamente di un pensiero folle ed infondato, di un delirio degno del più macabro carnefice. Il filosofo Gilbert Ryle parla di questo errore categoriale che si ottiene quando si comparano due strutture organizzate che sono ad un livello differente. Lui fa l'esempio della mente e dei corpi perché si è occupato nel suo percorso filosofico principalmente di filosofia della mente, sostenendo il comportamentismo, ma in realtà si può applicare a qualsiasi cosa, e lo si applicherà alla questione degli universali sociali. Nei suoi scritti viene nominato il "genere logico", cioè fa riferimento ancora alla struttura di genere e specie. Per cui nel suo caso l'errore categoriale si ha perché i generi separano la realtà in compartimenti stagni e lui parla di un errore categoriale proprio perché si cerca di confrontare ciò che non può essere confrontato. Ma sappiamo che questa posizione è errata, per cui possiamo riconfigurare l'errore categoriale come quell'errore che si ha nel comparare gli universali che si strutturano a livelli di organizzazione differenti, o meglio ancora, quando un universale è parte propria di un altro universale. Così come è falso dire "esistono cellule e individui" o "cellule o individui", è falso dire "esistono individui e società" o "esistono individui o società". Questo perché mettere "cellule e individui" e "individui e società" sullo stesso piano ignora che un universale è parte propria di un altro. Per cui la vera domanda dovrebbe essere "gli individui sono fatti di cellule?", ed allo stesso modo "le società sono fatte di individui?", che è una domanda, alla fine, che equivale a dire "siamo autorizzati a chiamare società un aggregato di individui?". La prima risposta, quella sulle cellule, è affermativa, perché sappiamo che le cellule hanno delle proprietà in comune e che queste proprietà intrattengono delle relazioni tra loro. Ad esempio, l'omeostasi di una cellula dipende dal resto dell'organismo, ed in particolare dall'attività ipotalamica e da eventuali azioni allostatiche. Quindi l'omeostasi, che è una proprietà di tutte le cellule, si relaziona in tutte le cellule grazie ad alcune attività regolatrici, alla segnalazione ormonale, etc. Per quanto riguarda la società invece, ci sono proprietà in comune che hanno tutti gli indivudi? Sì, ci sono. E tra queste, ovviamente, ci sono le proprietà che costituiscono l'individualità. Ma la società, per potere esistere, richiede che gli individui sacrifichino la propria individualità. Allo stesso modo, un corpo non richiede alla cellula che essa sacrifichi la propria omeostasi. La società invece sì, quindi alcune delle proprietà che costituiscono gli individui sono negate dalla società. Ne consegue che la società non è un sortale, perché alcune proprietà in comune tra gli indivudi sono negate, dunque non sono nemmeno in relazione. Per cui siamo autorizzati a chiamare una determinata struttura molecolare con il termine di albero, ma non siamo autorizzati a chiamare una determinata struttura molecolare società. Questo è un esempio importante, perché non ogni aggregato mereologico può essere radunato sotto un sortale. E la scelta di un sortale non è una convenzione. Il sortale viene applicato se l'aggregato mereologico rispetta determinate caratteristiche. Noi non abbiamo sortali per individuare l'aggregato mereologico formato dai crateri lunari e da quelli di un formaggio svizzero. Non ce li abbiamo perché le parti in comune non hanno alcuna relazione. Nel caso della società, invece, il sortale è sbagliato perché non solo non c'è una relazione, ma c'è negazione delle proprietà delle parti dell'aggregato. Nel caso dell'aggregato tra crateri della luna e del formaggio, in linea di massima si potrebbe inventare un sortale se si riuscisse a scoprire una relazione. Nel caso della società questo è impossibile perché essa per definizione nega gli individui, cioè le parti, che ne dovrebbero fare parte. La società ha uno statuto di esistenza parassitario perché si fonda sull'alienazione dell'individualità, della negazione generale dell'individualità. Un universale è un termine qualsiasi del linguaggio. Si chiama universale perché il linguaggio non permette di denotare individui, ma solo classi di individui. Universale sociale è un termine che indica una classe astratta che per potere esistere richiede che essa sia esemplificata da individui. Ad esempio: panettiere. Il panettiere esiste se e solo se ci sono individui che esemplificano il concetto di panettiere. La differenza tra gli universali sociali e naturali è forte perché la condizione di esistenza del termine albero o del termine pietra non è quella di essere esemplificati, ma semplicemente che esista un aggregato mereologico che essendo in una determinata struttura sia un albero o una pietra. L'universale sociale dissolve gli individui che lo costituiscono, invece quello naturale no. Da notare che filosofi come Frege trattano gli universali come sociali, e questo porta all'antinomia di Russell. Per cui Frege è vittima di artificialismo contemporaneo, che si distingue dal moderno perché non è la mente la forma dei fenomeni, ma la funzione. Quando si scrive f: a->b che si legge (si assegna a a b tramite la funzione f) la funzione in questo caso è in grado di trasformare la realtà, di produrre sostanze. Per cui ci sono i seguenti tipi di artificialismo:

  1. Arcaico.
  2. Rinascimentale.
  3. Moderno.
  4. Contemporaneo.

Per questo motivo non c'è nessuna società, ed essa non è né una parte dell'inconscio (storico, vedi teorie di Jung), né una parte di qualsiasi altra regione del sé. L'inconscio storico è una questione pre-individuale, essendo più primitivo dell'individuo. Esso risiede nella natura stessa e nella sua storia, ed è ciò che l'individuo eredita dalla natura e che nel tempo scopre man mano. Per questo non si può nemmeno asserire che l'uomo sia formato dalla società; la società non esistendo non fa la storia, la fanno sempre gli individui, che sono naturali e che la scoprono man mano poiché la ereditano per l'appunto dalla natura. La storia dell'uomo è infatti oggetto di studio dell'antropologia, branca della biologia che si occupa dello studio dell'uomo in termini etologici. Prima dell'inconscio storico vi è comunque innanzitutto l'inconscio collettivo. Pertanto l'inconscio storico è una formulazione, nonché espressione storica di ciò che esso eredita da quello collettivo (quello degli archetipi), quindi i miti, quelle "situazioni sociali" in cui ci si ritrova, che esaltano, che danno sensazioni uniche, etc. date dall'unione da simboli, con significato archetipico (elaborazione dell'energia a livello delle funzioni cognitive, vedi correlazione tra funzioni cognitive junghiane e default network per un'indagine neuroscientifica) più il meccanismo psicologico induttivo, di matrice premotoria, chiamato comunemente come rito. I miti sono insiti a livello della natura. Ed è proprio perché il livello cognitivo si è evoluto dalla natura che essi vengono colti cognitivamente in seguito dagli animali, compreso l'uomo. Il mito è il simbolo più il rito, e l'uomo vive costantemente in questa dimensione e ne influenza culturalmente la propria vita. Per questo motivo dobbiamo definire come la società altro non sia un fantasma, derivata da un mito.

Per quanto riguarda al delicato argomento del suicidio dato dalla società o da un gruppo di persone, voglio sottolineare l'importanza di questa serie di errori logici. Generalmente chi si suicida, ricorre a tale gesto perché percepisce una mancanza, un "debito" nei confronti della società. IL discorso può essere analogo all'aggressività che la setta riversa sui suoi membri, ed in effetti la società non è altro che una grossa setta che aggredisce, tramite l'imposizione dei suoi dettami, ciascun individuo, che è la parte di tale agglomerato (universale sociale, prodotto artificialista). Dunque l'individuo si sentirà contemporaneamente schiacciato dalle responsabilità che la società ripone verso di esso e per questo motivo si sentirà in dovere di soddisfare la società, andando a ricoprire l'ingranaggio che essa mette a disposizione: è chiaro dunque che vi è l'abbandono della propria individualità per diventare tutt'uno con la società, con questo aggregato impossibile. Ma questo non verrà concepito come una questione negativa, poiché la società metterà a disposizione delle ricompense, una delle quali potrebbe essere il fare sentire la persona come quel particolare ingranaggio che contribuisce al progresso nel mondo, come colui che è utile alla tecnica, a quel gelido mostro che porta al muto funzionamento delle cose, come se la realtà senza l'uomo potesse essere perduta (artificialismo). Quindi in tal caso, il suicida, è colui che è portato a pensare che non è utile nei confronti della tecnica e per questo non si concepisce come un utilizzabile. Quindi basta che la vittima attui un transfert verso un gruppo o un individuo, il quale lo faccia sentire inutile individualmente, innescando il mito del sacrificio, poiché l'individuo sarà così deindividualizzato e devoto al mantenimento di quello spirito, di quel fantasma, che è solamente una categoria, che è pure sbagliata, non essendo un sortale. Nel caso del bullismo, del cyberbullismo e di tutte le derivate da questo comportamento, avviene una spinta debole, poiché in tal caso vi è un'impotenza generata dall'impossibilità di contrastare il bullo, che viene tuttavia percepito come nemico anziché come categoria. Pertanto è un meccanismo contrario a quello della società, poiché l'individuo è tenuto ad essere devoto ad un altro individuo anziché ad un universale. Il processo successivo è tuttavia quello di catalogare l'individuo come bullo e dunque entro la categoria dei bulli, lottando pertanto contro un universale.

L'etica al fine di conseguire la giustizia e la libertà è una farsa. Gente come Kant propose un'etica, imponendo in realtà un'ideologia. Sempre in nome di una causa esterna a sé si fonda l'ideologia e questo caso non ne è da meno. Quando egli dice che bisogna seguire una società giusta e libera dice quello che dice ogni visione politica della realtà. È necessario imparare a capire che le parole "giusto" e "libero" non significano nulla di per sé e vanno sempre contestualizzate al pensiero che le adopera. Nel caso specifico di Kant, "liberi" significa essere sottomessi alla legge morale che ha inventato, quindi all'imperativo categorico, e "giusto" vuol dire essere sottomessi alla società, perché l'imperativo categorico dice che bisogna trattare gli uomini come fini e mai come mezzi, a meno che gli uomini stessi non vogliono essere trattati come mezzi. La morale kantiana è una delle prime ideologie politiche, in quanto egli diceva che il soggetto della legge morale è esclusivamente colui che è dotato di razionalità. Ebbene, è il potere, lo stato, che decide chi è razionale e chi no. Gli indiani d'America non venivano considerati razionali e potevano essere uccisi, lo stesso valeva per i criminali ("sorvegliare e punire", Focault). Tutto ciò che veniva considerato sbagliato veniva ricondotto ad una mancanza di razionalità, e la ragione era esattamente ciò che era la sessualità per Freud. Per cui bisogna stare attenti alle belle parole di gente come Kant. Ma poi uno se ne rende conto da solo leggendo "la critica della ragion pratica", "la pace perpetua" e "la metafisica dei costumi". È come oggi, secondo cui tutto ciò che viene considerato sbagliato viene considerato un disturbo mentale. Ai tempi di Kant era un difetto della ragione. È cambiato poco da allora, ci si è solo aperti alle bestialità. Quando c'è qualcuno che dice che siamo tutti uniti non bisogna mai credergli, perché c'è sempre un qualcuno che deve essere escluso per creare il senso del Noi, che come dimostrato precedentemente, non può esistere realmente, avendo lo statuto ontologico delle esistenze impossibili.

Ad ogni etica corrisponde una morale e viceversa, poiché sono l'una la faccia della stessa medaglia. Si potrebbe pertanto collegare ad ogni principale teoria morale una fallacia logica:

  • L'utilitarismo nasce dalla fallacia di composizione: si assume che un aggregato abbia le stesse proprietà delle sue parti. Ad esempio, credere che la società abbia una coscienza collettiva sulla base che ogni singolo individuo ha una coscienza, o in modo più triviale, pensare che possiamo respirare acqua perché possiamo respirare ossigeno.
  • La teoria del dovere di Kant dalla fallacia moralistica.
  • Il naturalismo etico dalla fallacia naturalistica.
  • L'etica delle virtù (coraggio, prudenza, temperanza, etc.) dalla fallacia genetica: credere che siccome qualcosa è fatta da un uomo virtuoso, allora è buona. L'origine di un'azione o di un processo non ha nulla da dire in merito alla sua verità. Una buona azione può anche essere stata compiuta da Hitler, questo non la sminuisce. Invece l'etica della virtù dice che le buone azioni sono quelle compiute dai virtuosi.

Le teorie etiche sono teorie circa l'esistenza di alcuni enti astratti, le virtù per quella delle virtù, i doveri per quella dei doveri, etc. Le teorie politiche come quella del contratto sociale sono storie di fantasia, dei miti per legittimare determinate forme di governo e quindi possono richiedere le teorie etiche, ma non è necessario. In quella di Hobbes per esempio non figura alcuna teoria etica. Le etiche pertanto non hanno alcun fondamento se non quello della menzogna e pertanto traggono forza unicamente dall'ideologia e dalla forza bruta, che esse sfruttano per obbligare gli individui a seguire determinati modelli comportamentali dettati da una determinata gestione politica della realtà.

In conclusione, parlerò ora dell'etica in correlazione alla error theory. La moral error theory, o in italiano, la teoria dell’errore morale è stata avanzata per la prima volta da J.L Mackie nel testo Ethics: inventing right and wrong e consiste in una posizione metaetica sullo statuto ontologico degli enti che caratterizzano le varie teorie di etica normativa. In particolare, la moral error theory sostiene che la morale è una teoria come tante altre e per essere vera gli enti verso i quali si impegna ontologicamente devono esistere, altrimenti ogni proposizione che li utilizza non può avere “vero” come valore di verità. Ciò significa che ogni sistema di etica normativa come l’utilitarismo, la deontologia o la teleologia aristotelica, si impegna nei confronti di alcuni particolari enti la cui esistenza è ciò che consente di utilizzare le proposizioni morali in modo assertorio (Joyce 2001, 2006). Un sostenitore della error theory che volesse mostrare come nessun ente richiesto dalle teorie normative esiste si trova a dover affrontare un grande problema, il dover spiegare, analizzando ogni teoria morale esistente, il perché quel particolare tipo di entità presupposto non esiste. Fortunatamente questa impresa impossibile (che dovrebbe essere ripetuta ogni qualvolta un filosofo proponesse una nuova teoria morale) non è necessaria (Mackie 1977), perché tutti i sistemi morali sono caratterizzati da pochi tratti universali, per cui basta esaminare questi ultimi per notare che ogni sistema morale, a prescindere dai suoi dettagli, si impegna verso enti la cui esistenza è quantomeno problematica. Si può scomporre la prima tesi della error theory, quella inerente alla falsità o mancanza di contenuto di verità delle proposizioni morali, in due ulteriori punti che assieme consentono di rendere conto dell’errore delle teorie morali: il primo riguarda il piano concettuale e consiste nel dichiarare che i termini morali hanno una forza assertoria e che sono termini a tutti gli effetti dotati di un riferimento (Joyce 2019a), ed è una cosa molto importante da sottolineare per distinguere la posizione dell’error theory da quella del noncognitivismo (o emotivismo) che sostiene che il ruolo descrittivo svolto dai termini denotativi è minimo, e che il loro ruolo principale è quello di influenzare gli altri: sul piano concettuale l’error theory sostiene che i cognitivisti non-naturalisti spiegano bene quello che avviene quando un parlante compie un giudizio morale, cioè ascrive delle proprietà che non si trovano nella natura ad un oggetto, ma il non-naturalista compie un errore sul piano ontologico, e su quest’ultimo l’error theory si schiera a favore dei naturalisti: se ci sono proprietà morali, queste devono essere presenti nella natura. Il secondo punto della prima tesi dell’error theory è che nessuna proprietà morale può essere presente nella natura, e che quindi facendo giocare la tesi del naturalista e quella del non-naturalista l’una contro l’altra, si arriva ad una conclusione nichilista o scettica circa l’esistenza delle proprietà morali (Joyce 2019a). Per sostenere il secondo punto della prima tesi i filosofi che si sono dedicati allo sviluppo di questa teoria hanno costruito vari argomenti con i quali indicano le che proprietà morali non sono compatibili con un’indagine scientifica della realtà o con il metodo empirico in generale, tali argomenti sono l’argomento del relativismo, l’argomento della queerness della stramberia, l’argomento della inescapabilty o dell’inevitabilità e l’argomento dalla storia. Non ci sono pertanto norme morali. L'etica semplicemente non esiste, è come parlare di spiriti, anime ed altri fantasmi, tipici per esempio delle dottrine new age. Si tratta di utilizzare determinati che hanno lo statuto ontologico degli oggetti impossibili, e che quindi non si predicano di nulla se non di sé stessi. Solo il quadrato rotondo ha la proprietà della quadratorotondità. Allo stesso modo vale per i valori, le virtù e tutto il resto. Come se non bastasse, il serio problema di questi determinati è che sono attribuiti e non vere e proprie proprietà. Per cui il valore del valore è diverso da se stesso.

I sostenitori della error theory solitamente negano l'esistenza di valori oggettivi, ma affermano quella dei valori soggettivi. L'esistenza di valori soggettivi è però problematica: come può esistere un valore soggettivo? Dal fatto che io preferisco A si dovrebbe derivare che A è preferibile per me. Ma io potrei essere epistemicamente in errore su A. Per cui non si può derivare, nemmeno in modo internalista, che dal fatto che X preferisca qualcosa, allora quel qualcosa è preferibile per lui. Dire che qualcosa è preferibile significa avere una motivazione giustificata per perseguire quel qualcosa, ma la mera preferenza per un qualcosa non consente di dire che si è giustificati a perseguirla. La motivazione riguarda sempre delle caratteristiche dell'oggetto che lo rendono desiderabile. Perciò la desiderabilità non può essere inferita in modo puramente soggettivo.

L'etica si rende così dimostrata essere, alla stregua della morale, un fantasma che aleggia sulle vite degli uomini e che svuotato della fondatezza culturale di tale asserzione, mira alla costruzione di gabbie ideologiche entro cui fare vivere la vita di tutti, ponendo la realtà sotto un filtro semplificatore, così che i contenuti subiscano una riduzione allo stremo, asetticizzando la capacità intellettiva del singolo rispetto all'essere.

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