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Moore e un’ontologia per proprietà: terza parte

L’essere non detiene ogni proprietà. Non è possibile che esso sia contemporaneamente bianco e non bianco, alto e non alto e così via. E anche se ammettiamo solo l’esistenza di proprietà positive, esso non può avere contemporaneamente la proprietà di stare seduto ed in piedi. L’essere è una struttura semantica, per cui esso è caratterizzato da alcune proprietà, che sono quelle proprietà che tutte le determinazioni devono avere. L’essere è finito, determinato, unico, immutabile, cinetico, eterno, etc. Queste sono le proprietà che caratterizzano la struttura dell’essere, e che sono implicate da tutte le altre proprietà. Le altre proprietà come “è alto”, “viola”, “si arrampica” e simili, sono proprietà che noi individuiamo con lo scopo di descrivere qualcosa. Le proprietà possono anche essere definite in modo arbitrario, essere dette sul momento. Ovviamente questo non significa che siano inventate, ma che possono essere derivate dalla struttura dell’essere. Quindi no, l’essere non ha tutte le proprietà, ma è la struttura che consente la derivazione di ogni proprietà. Cosa devi aggiungere all’essere per derivare una proprietà? Le sue determinazioni. Abbiamo detto che l’essere si oppone al non essere mediante le sue determinazioni, quindi le determinazioni dell’essere sono in un certo senso l’essere stesso. Queste determinazioni sono necessarie. Da ciò ne consegue che le determinazioni individuano e sono individuate da proprietà. Uno può parimenti dire l’uomo è seduto, e l’uomo seduto. In entrambi i casi costruiamo una determinazione relazionando tra loro due proprietà, due universali. Questa cosa risulta più evidente nelle lingue slave, dove si va proprio a troncare il verbo essere, così che il discorso delle proprietà risulti più palese di quanto non lo sia invece nelle lingue latine. Il concetto più importante è questo: nel suo opporsi al non essere vi è la proprietà che l’essere che deve concepirsi come diverso dal non essere, se non vi fosse questa consapevolezza, allora sarebbe comunque uguale al non essere. Sulla base di questa proprietà è gettata la base per la storicità, e quindi per tutte le altre proprietà fino a giungere alla coscienza. Sulla base della storicità dell’essere si costruisce la possibilità di derivare strutture dalla struttura dell’essere: così deriviamo dalla struttura semantica fondamentale la struttura della fisica, poi della biologia, e poi degli altri elementi della gerarchia. Ma tutto deriva da una prima struttura, che è quella semantica fondamentale. Per cui se c’è una proprietà che l’essere non ha direttamente, è sicuramente una proprietà di una delle sue determinazioni, per cui anche se non descrivono l’essere in primo luogo, lo descrivono in secondo luogo. L’essere implica ontologicamente e logicamente tutte le proprietà. Questo perché le proprietà servono per individuare una determinazione. Ci sono delle proprietà che consentono di individuare la struttura stessa di ogni determinazione, e ciò che viene così individuato lo chiamiamo essere. Il discorso degli universali viene pertanto ridotto ad un sistema che parte dall’empirismo e culmina nel nichilismo, poiché la questione viene nell’ontologia ridistribuita su un piano esistenziale valido per tutte le determinazioni. Gli universali sono le parole, qualsiasi parola che non sia una parola grammaticale (funtori e connettivi) è un universale. Questo perché gli universali sono oggetti linguistici, in quanto sono una struttura che deriva dall’essere al livello linguistico, poiché individuano un particolare livello di sintesi del reale che consente con una sola unità semantica di descrivere tutte le occorrenze di un evento: quando diciamo sedia ci riferiamo a tutte le sedie. Tuttavia anche le occorrenze singole sono universali, perché noi possiamo immaginare di inventare un termine per definire una particolare sedia tra tutte le sedie. Per cui le proprietà stesse e la realtà stessa, è fatta di universali. Anche un atomo è un universale: noi usiamo il termine idrogeno per riferirci a tutti gli atomi di idrogeno. Nulla ci vieta di inventare un termine con un particolare atomo di idrogeno tra tutti e di nominarlo così.

Le proprietà sono differenti per estensione e per intensione. L’estensione è la quantità di cose catturate da una proprietà, o un universale: l’universale sedia include in sé tutte le sedie. Tuttavia, se dico “sedie bianche” l’universale sedie bianche include tutte le sedie bianche. L’intensione è la congiunzione di tutte le proprietà che definiscono un universale. Sedie bianche ha un’intensione più grande di sedie, perché si tratta di due proprietà, ma ad un’intensione più grande corrisponde sempre un’estensione più piccola. Per cui effettivamente ci sono più sedie di quante non sono le sedie bianche, perché tutte le sedie bianche sono anche sedie.

Questo come si applica ai personaggi fittizi? I personaggi fittizi hanno diverse proprietà che i personaggi storici possono avere, meno una, ossia quella di esistere al di fuori dei medium che li contengono. Il medium è un veicolo attraverso cui viene distribuito un messaggio. Il cervello è un medium per i pensieri, perché senza il cervello non si hanno pensieri. Allo stesso modo, la carta è un medium per il contenuto di un libro, visto che senza di essa non ci sarebbe il contenuto. Il Virgilio di Dante non può esistere al di fuori delle copie della Divina Commedia, mentre quello storico sì. Quindi l’estensione della classe di un personaggio fittizio contiene sempre anche il relativo personaggio storico (se esiste). Questo perché i personaggi storici hanno tutte le proprietà che i personaggi fittizi possono avere, ed in più hanno la proprietà di stare nello spaziotempo fuori dai medium. Perciò così come le sedie e le sedie bianche, tutti i personaggi storici prima di essere storici sono anche personaggi allo stesso modo in cui tutte le sedie bianche prima di essere bianche sono anche sedie. Miti, pensieri ed immaginazione fanno parte di storie reali. Lì ci si riferisce ai miti, ai pensieri ed ai prodotti dell’immaginazione di personaggi reali. Per cui è naturale che siano ad un livello di estensione inferiore, in quanto possono stare solo sotto un personaggio reale. Si noti che un personaggio fittizio è anch’esso un oggetto fittizio. Un conto è se il Virgilio di Dante pensava che Dante fosse pronto per andare in paradiso, un conto è se Virgilio reale pensava ad Enea mentre scriveva l’Eneide. Enea ha un correlato neurale che stava nel cervello di Virgilio, invece il pensiero di Virgilio rispetto a Dante ha come correlato neurale qualcosa nel cervello di Dante, oppure una carta della divina commedia. Gli universali insieme agli oggetti fisici coprono i livelli più bassi della gerarchia perché tutto quello che viene prima è fatto di universali. Gli universali sono i mattoncini della realtà e nessuno spirito è qui annesso, ma solo proprietà.

Ma cosa sono queste proprietà? Le proprietà sono delle descrizioni che facciamo per individuare dei determinati. Le proprietà esistono al livello del linguaggio verbale, e sono una o più parole che in virtù della computazione del loro senso, ci permette di avere come riferimento una determinazione. Dire “il gatto tigrato” è una proprietà che ha come riferimento una determinazione, quella del gatto tigrato. Le proprietà sono un nostro strumento, stanno nel nostro cervello. Noi usiamo le proprietà per riferirci ai determinati, che stanno fuori dal nostro cervello. Anche un oggetto fittizio dal momento in cui viene descritto con una proprietà inizia a stare in un medium diverso dal cervello. Diciamo che la definizione più rigorosa di proprietà è: Correlati neurali che corrispondono ad un determinato. Per cui dire che cos’è una proprietà è un compito delle neuroscienze. Attualmente la definizione che c’è per proprietà è “assemblaggio neuronale”, perché anche i neuroni lavorano per universali e usando una sorta di codice interno, per cui alla fine così come le proprietà ci consentono di assemblare tramite la descrizione di parole, allo stesso modo sono assemblate dai neuroni del nostro cervello. Esse sono divise in base alla modalità sensoriale. Le proprietà relative al gusto stanno nella corteccia gustativa, le proprietà relative alla visione stanno in corteccia occipitale, le proprietà relative a concetti non immediatamente riconducibili ai sensi hanno anch’esse un luogo specifico, il polo temporale sinistro. Noi riusciamo perciò riusciamo effettivamente a riferirci a qualcosa che sta fuori dal cervello con le proprietà perché queste vengono “scolpite” tramite reti neurali in modo interattivo con l’ambiente. Quando diciamo “il latte caldo” si attivano le aree del cervello che si attiverebbero durante la percezione del latte caldo. Il problema del riferimento extralinguistico è risolto dal cervello facendo coincidere le strutture percettive con quelle del discorso.

In tutto ciò, dire pertanto che oltre al mondo fisico ci sono dimensioni irriducibili come quella mentale, sociale o come quella del linguaggio è una sostanzializzazione dell’essere e questo frena di molto il progresso culturale, sia scientifico che filosofico. Ognuna di queste sostanzializzazioni porta poi al relativismo. Chi sostiene per esempio che il linguaggio determina il pensiero sostiene che diverse lingue impongono pensieri differenti, chi invece sostanzializza la società dice che diverse società impongono pensieri differenti e così via. Però il relativismo più estremo si ha con la sostanzializzazione del pensiero stesso: il pensiero di x è determinato solo dal suo pensiero e quindi, ogni persona la pensa in modo diverso perché è quella persona. Quindi alla base del relativismo, c’è sicuramente il sostanzializzare cose a caso, e questo mina seriamente il progresso della conoscenza in ogni ambito. Per questo motivo non solo l’ontologia è richiesta nell’ambito informatico, ma è necessaria per includere la teoria necessaria che possa risolvere dei punti sostanzializzanti tipici dei sistemi organizzativi dell’informazione che poi portano ad una sua specializzazione, settorializzazione e relativizzazione.

Sostanzializzare a caso è a tutti gli effetti un’euristica ed è applicata da coloro che non avendo una preparazione filosofica teorizzano un sistema sostanzializzato e di conseguenza relativistico. Tale processo è il più grande ostacolo alle scienze e il motivo per cui la scienza oggigiorno sta fallendo è perché la stragrande maggioranza degli scienziati non studiano filosofia. L’esperimento di una scienza separata dalla filosofia ha dato esiti fallimentari, dato che adesso si sta tornando lentamente a sostanzializzare. Non potendo più sostanzializzare la mente stanno sostanzializzando la cultura o la società, nel senso che la prima o la seconda vengono usate per spiegare delle differenze. Il problema è che l’obiettivo di alcuni rami della scienza è proprio di spiegare la cultura, e assumere ciò che si vuole spiegare come la spiegazione stessa è abbastanza un problema. In passato questa ondata di ignoranza (perché il relativismo è ignoranza dal momento che si va ad ignorare tutto ciò sulla quale non vi si pone un focus estremo su una proprietà resa spirito) ha portato alla sostanzializzazione del linguaggio (Wittgenstein, Grice) e anche questa è fallita perché ci sono stati studiosi come Chomsky e i neuroscienziati che hanno naturalizzato il linguaggio. Ma ora chi si opporrà alla sostanzializzazione della cultura e società? Ad oggi vi sono sostenitori come Giulio Tononi, Christof Koch e soprattutto Stanislas Dehaene, a cui si ignorano completamente o quasi completamente gli studi, come se le neuroscienze fossero molto più in una fase sperimentale rispetto a discipline come magari la fisica quantistica, rendendole di fatto la disciplina – pecora nera – della cultura. Tutte le discipline sono di per sé “sperimentali” poiché se non lo fossero non vi sarebbe più nulla da dire rispetto a quell’ambito e di fatto tutti sarebbero già nati senza potere scoprire più nulla per sé. È interessante come poi, col discorso neuroscientifico si sia andati a formulare un’opzione appropriata che descriva il cervello in maniera seppur non strettamente ontologica, almeno per proprietà; lavoro fatto da Stanislais Dehaene, dove va a definire il cervello come una “free willing machine”, ossia la macchina della libertà, una macchina speciale perché produce libertà, e questo è stato dimostrato dal funzionamento stesso del cervello. Eppure, a larga scala, i sostenitori del socialismo (quello ontologico, non quello storico, ossia del sostanzialismo sulla società), ed in particolare in questo caso di quelli skinneriani (Burrhus Skinner), riescono a controllare il comportamento delle persone attraverso degli stimoli. Qui torna la potenza dell’errare di severiniana memoria (vedi le tesi di Emanuele Severino), e penso che non ci sia modo migliorare per illustrare il tema della tecnica. Anche se il comportamentismo è falso, è una teoria, uno strumento con cui trasformare la realtà umana. Esso è potente, nonostante è falso. La potenza nella tecnica consta nel fatto che funzioni, non nel fatto che possa essere o meno intelletta; per questo filosofi come Martin Heidegger o Friedrich Nietzsche, in misura più debole, l’hanno definita come un gelido mostro, una fredda macchina che sarebbe culminata in un’epoca oscura a cui sarebbe servita solo una risoluzione deus ex machina. Il discorso delle neuroscienze è perciò molto valido e ad oggi sottovalutato, poiché ha fatto ciò che altre discipline hanno solo tentato di fare ripetendo stupidamente tesi del passato già smentite, trite e ritrite che avevano come scopo solo quello di rimettere sul mercato nuovi prodotti con una nuova veste. Già in ambito informatico, ed in particolare nel campo dell’intelligenza artificiale, si può notare come vengano quasi presi con le pinze le architetture neuronali biologiche e di come o il tutto venga semplificato o di come venga ridotto a “semplici” algoritmi di machine learning, considerando di fatto più la questione del prodotto che il progresso scientifico e culturale. E le differenze culturali nella scienza si devono e si possono spiegare biologicamente, poiché altro non dipendono che dall’hardware che ci caratterizza, ossia il cervello in relazione al luogo in cui si abita, il quale ha correlazioni sicuramente genetiche e dinamiche (così eliminiamo anche la questione identità proposta dalle teorie della razza, che sono altresì ontologicamente contraddittorie e derivate dal sistema metafisico, nonché il risultato di una sostanzializzazione verso la genetica). Il problema della cultura si presenta dunque al suo culmine nel non potere spiegare la realtà poiché la limitazione dei nodi offerta dai sistemi precedenti a quelli dell’ontologia, asseriscono una sostanzializzazione della realtà inquadrandola in descrizioni euristiche che possiamo definire sottoforma di ideologie. E le ideologie hanno come prerogativa quella di mostrare di potere controllare il passato, di censurare e di plasmare, poiché inadatte al libero discorso e incapaci di contraddire la verità. Pertanto plasmano la cultura a propria immagine e somiglianza e cercano di eliminare gli oppositori del regime, identificati come intellettuali. Al contrario, le distopie comportamentiste hanno come obiettivo quello di eliminare le persone comuni, poiché per queste gli intellettuali non esistono essendo unicamente un concentrato di enti a cui spetta un comportamento specifico (dalla scienza fino al nichilismo).

L’essere non è quindi un predicato, poiché se lo fosse sarebbe creatore, sostanzializzatore, relativizzatore, idealizzatore e annichilitore poiché non vi sarebbe più discorso rispetto alla cultura essendo ogni nodo figlio una specializzazione sempre più specifica e intrascendibile se non per mezzo di un atto antidialogativo che non può manco essere espresso in quanto negazione di una negazione, nonché negazione dell’atto negante del creare, del donare lo spirito all’ente. L’essere non è quindi dunque nemmeno una proprietà, perché come abbiamo definito le proprietà, sono come descrizioni sottoforma di correlati neuronali, che servono ad ognuno di noi per individuare un determinato, se l’essere fosse una proprietà non riuscirebbe ad individuare un determinato, ma li individuerebbe tutti. Questo significa che “essere” denota solo sé stesso.

Nel prossimo articolo andremo a discutere le connotazioni dell’essere e dunque delle sue proprietà formali.

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